
Nel suo discorso delle beatitudini, Gesù sembra avere tenuto il meglio per la fine. Il meglio, ossia il più inverosimile, il meno credibile: «Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli». Poiché probabilmente già indovina la nostra incredulità, lo vediamo insistere, come per dimostrare che non si tratta di un semplice malinteso: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia». Si potrebbe ammettere, al limite, che è possibile trovare un po’ di felicità nella povertà o nelle lacrime – ma nelle persecuzioni?
L’essenziale, tuttavia, non sta nelle persecuzioni in sé, che non hanno nulla che possa farci rallegrare, ma nelle ragioni che le motivano: «per la giustizia», «per causa mia». Per cosa, per chi, siamo noi disposti ad affrontare, se necessario, persecuzioni e calunnie? Abbiamo convinzioni abbastanza profonde, legami abbastanza solidi da farceli preferire alla nostra tranquillità o alla nostra reputazione? Beati coloro che possono esserne certi, beati coloro che si donano al punto di correre il rischio della persecuzione! Perché, senza di questo, noi non abbiamo ancora amato per davvero, a parte noi stessi.
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