giovedì 12 dicembre 2019
Chiude un negozio di parrucchiere. Ne chiudono tanti: "colpa" dei cinesi, delle loro pieghe a 5 euro, della mannaia degli studi di settore. Chiude alla chetichella, lavorando dignitosamente fino all'ultimo colpo di forbice, le clienti ignare. Solo un cartello la mattina dopo, "chiusura attività", il capannello delle signore sbigottite.
Il signor Rosario, omone sulla sessantina, lavorava da quando aveva 12 anni. Ragazzo di negozio in una barberia della Sicilia profonda, aveva imparato tutta l'arte. Adolescente era andato in Germania a cercare fortuna, friseur italiano apprezzato dai compaesani emigrati e anche dagli autoctoni. Rientrato in Italia aveva scelto Milano, non così lontana dalla sua Francoforte. Ogni tanto in negozio si presentava una comitiva di tedeschi di passaggio in Italia: occasione per una rimpatriata, una birra sul retro e una rinfrescata al taglio.
Preciso, puntuale, discreto, il tono basso della voce, Rosario era anche capace di esplosiva empatia meridionale, con certi fragorosi scoppi di risa: un suggestivo impasto di Nord e Sud, il meglio delle due culture. Tenero con le nonne da permanentare, feroce di fronte a ritardi e disservizi.
Ha rimandato la decisione, un anno dopo l'altro. Passerà questo guaio. Passerà. «Ma poi ho capito» dice a bassa voce «che non sarebbe passato più».
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