mercoledì 6 luglio 2011
All'inizio i figli amano i genitori. Dopo un po' li giudicano. Alla fine raramente, o quasi mai, li perdonano.

Forse hanno ragione quelli che la considerano la grande malata del nostro tempo. Io aggiungerei anche «la disprezzata», tant'è vero che così poco si fa per essa, a partire dal livello politico. Sto parlando della famiglia. Certo, i segni della crisi sono evidenti, le ferite che mostra sono talora impressionanti: pensiamo solo alle violenze che si consumano nel chiuso delle pareti domestiche. Oppure ci si può riferire al simbolo delle porte blindate che isolano, rinchiudendo egoisticamente splendori e miserie, gioie e tragedie. Purtroppo ha qualche traccia di verità l'eccessiva definizione che lo scrittore francese André Gide aveva dato nei suoi Nutrimenti terrestri (1897) della famiglia: «focolari chiusi, porte sprangate, possessi gelosi di felicità».
Oggi proponiamo un'altra notissima rappresentazione della famiglia: è anch'essa eccessiva, ma custodisce la sua anima di verità. A formularla è quello spirito mordace e provocatorio che è stato lo scrittore inglese Oscar Wilde (1854-1900). Le tre tappe effettivamente si compiono nella vita di molti: il ragazzo che si fida, ama e ammira i suoi genitori; il giovane che li giudica scoprendo le loro ipocrisie e, infine, l'adulto che ha una sorta di rivalsa contro di loro, accusandoli di non averlo attrezzato a vivere. C'è indubbiamente del vero in tutto questo e i genitori, spesso disinteressati o distratti nei confronti dei loro figli, riflettano su queste parole. Un po' brutalmente il nostro Giuseppe Giusti scriveva che «i figli non basta farli, v'è la seccaggine dell'educarli!». Ma c'è il rovescio della medaglia che riguarda i figli e le loro colpe. E questo è tutto un altro capitolo.
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