giovedì 21 luglio 2005
Signore, penetra i nostri oscuri recessi ove nascondiamo segreti che non osiamo riesumare": il rancore ostinatamente sotterrato; l'inimicizia che cova sotto la cenere; l'amarezza per una perdita, non ancora trasformata in sacrificio; il benessere privato a cui ci aggrappiamo; la paura di perdere che svuota ogni iniziativa; il pessimismo che insulta la tua gioia, Signore. A te portiamo tutte queste cose, prendendone coscienza con vergogna e pentimento davanti alla tua luce sfolgorante. Sto leggendo un profilo biografico di una figura significativa della teologia e della spiritualità anglicana, Evelyn Underhill (1875-1941), una donna che si dedicò alla testimonianza, alla guida spirituale e alla predicazione della fede cristiana in Inghilterra, giungendo fino al punto di ricevere la laurea honoris causa in teologia. Traduco, così, alcune invocazioni di una sua preghiera molto intensa che potremmo usare, in spirito ecumenico, quest'oggi in un momento di quiete e riflessione. Evelyn chiede a Dio di penetrare con la sua luce e la sua dolcezza in quegli «oscuri recessi» della nostra anima ove si annidano segreti di cui ci vergogniamo, ove è sotterrato il nostro rancore, ove l'amarezza, l'egoismo, le piccole idolatrie, il pessimismo si sono depositati sedimentandosi e rendendoci forse duri di cuore. È l'invito a un esame di coscienza orante nel quale si presenta a Dio ciò che non riveliamo forse neppure alla persona con cui viviamo la stessa esistenza matrimoniale. Anzi, debolezze e segreti che non osiamo quasi proporre a noi stessi. La «luce sfolgorante» divina può squarciare quella tenebra e offrirci il dono del perdono, la serenità e la pace della coscienza.
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