
«D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata!», canta Maria nel Magnificat (Lc 1,48). Raramente una profezia è stata così esattamente, così scrupolosamente, realizzata da Dio: quando Maria dichiara così la sua gioia alla cugina Elisabetta, non può certo immaginare che generazioni e generazioni di credenti venereranno effettivamente la «beata Vergine Maria», come la chiama la liturgia.
Ma di quale felicità si parla? Quella di una fama mondiale, eccezionale? La gioia di vedere la propria immagine nelle chiese, nelle case, un po’ dappertutto sul pianeta? Questo senz’altro non interessa granché alla ragazza di Nazaret. La sua felicità è ben più grande di futilità come queste. È una felicità così grande che, secoli dopo, se ne parla ancora; una felicità così intensa che la sua onda d’urto ci scuote ancora. La felicità di Dio che si rende presente a noi, che ci ama al punto di prendere la nostra carne, che viene ad abitare la nostra vita. La sua felicità è Dio-con-noi. “Noi”, e non “io”: questa felicità di Maria non ha nulla di egoistico, quasi niente di personale, viene data solo perché la condividiamo a nostra volta. Perché, se sappiamo rallegrarci di questa felicità, se sappiamo farla nostra, è fuor di dubbio: tutte le generazioni ci chiameranno beati!
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