martedì 17 luglio 2012
«Anch'io vorrei lasciare il mondo, andare/ nei monti dell'ovest tra schiere di fenici, di gru». Versi di un poeta dell'antica Cina, Chang Chien. Per un cinese, un orientale in genere, abbandonare il mondo significa muoversi verso Occidente, dove si profila, oltre l'orizzonte, una realtà sconosciuta. Di primo acchito potremmo pensare che analogamente l'uomo occidentale immagina il viaggio a Oriente. Pensiamo al mito dell'Oriente così diffuso in certi particolari momenti della nostra civiltà, esempio vistoso il viaggio in India della beat generation, dei figli dei fiori, e di tanti giovani americani o europei agitati da inquietudine e inappagati del nostro mondo. In realtà non è così: il sogno dell'Oriente non adombra un'avventura verso l'ignoto, ma un ritorno: all'origine, alle fonti delle civiltà, al luogo dove sorge il sole. I beat non cercavano una nuova realtà, ma una più antica, originaria. Anche per noi il viaggio avventuroso, verso l'ignoto, è a occidente, secondo il modello dell'Ulisse dantesco. Nessuno di noi può dimenticare queste due realtà archetipiche e spirituali: l'Occidente che ci chiama a partire, avventurandoci verso lo sconosciuto, e l'Oriente che ci ricorda l'origine, la nascita, la luce elementare e prima. Sono due parti della nostra anima che devono convivere, in conflitto e armonia.
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