giovedì 21 gennaio 2016
Èun uomo come tanti, quello ritratto da Giuseppe Mentessi (1857-1931). Non un extracomunitario o un gangster, è l'uomo comune, quello che potresti incontrare alle metro, al mercato, in banca, per le strade della tua città. È un uomo comune, colto in un frangente di grande dolore. Il dipinto s'intitola Lagrime, ma le lacrime nessuno le vede. Non ci sono. Sono nascoste dall'ombra scura della tesa del cappello dell'uomo, dalla mano della bimba che si copre il volto. Le lacrime sono solo suggerite, si possono solo indovinare. Forse anche questa è una grande misericordia: indovinare i dolori dell'altro. Non dare per scontato nulla, non giudicare secondo le apparenze, ma scandagliare oltre le ombre e le coperture, l'umanità che passa sotto il raggio della nostra azione.Guardo questa immagine e la confronto con le notizie che pullulano sulle testate giornalistiche, quelle in primo piano: omicidi, attentati, nuovi cristiani uccisi, nuovi morti nel mar Mediterraneo, nuovi soprusi della mafia... Guardo questa immagine e vedo che c'entra con tutto eppure è, allo stesso tempo, oltre tutto. Qui c'è un padre e una figlia e nulla più. Non c'è bisogno di etichette, di titoli o sottotitoli: la realtà s'impone con tutta la sua evidenza: c'è un padre ammanettato e una figlia disperata.Mi viene da pensare che siamo noi quella figlia disperata, noi tutti. Quella figlia è l'umanità che ha perduto il Padre. Un'umanità che ha messo le manette a Dio e ora vive nel tormento. Di chi siamo figli? Mi vien da chiedere agli assassini di turno, ai reclutati dal Daesh, ai camorristi senza scrupoli, ai venditori di false speranze per gente disperata: “Di chi siamo figli? C'è qualcuno cui dovremo dar conto delle lacrime versate e fatte versare?”. L'uomo ammanettato veste per bene e anche la bimba sembra ben pettinata e curata. Qui la tragedia è piovuta dall'alto, malgrado sforzi ed educazione messi in campo, ed è una tragedia umiliante: le manette, il carcere. Un'onta che rimane.Perciò non posso fare a meno di pensare a Dio. Anche noi abbiamo messo in carcere la fede. Cade il sospetto su tutto ciò che abbia il titolo “cattolico”. Nelle scuole Dio è il grande dimenticato, è stato ammanettato da una cultura laicista ed edonista. Porta le manette nelle scuole, ma anche nei luoghi della cultura, nel parlamento italiano ed europeo, porta le manette, ahimè, talora persino nelle cattedrali, nei conventi e nelle sacrestie.Non abbiamo più un padre. Non abbiamo più nessuno cui rendere conto del nostro operato. Pure però, non abbiamo alcuno che ci abbracci, accendendo nel nostro cuore la speranza. Sarà per questo che il Santo Padre ci ha aperto la breccia incredibile della misericordia? Siamo così soffocati dalle notizie più terribili, dall'inconsistenza umana che ci circonda, dalla paura, che neppure vediamo quel Qualcuno che ci abbraccia.Sì, l'uomo ammanettato che ci abbraccia è Dio stesso. Sembra uno dei tanti, un uomo comune. L'hanno reso così i più, l'hanno neutralizzato, eppure egli è lì, tenace. Accetta le sue manette come un giorno accettò di essere legato alla colonna, inchiodato alla croce. Ma come ieri anche oggi si ostina a volerci bene. Questa è la davvero la grande misericordia, dire all'uomo post-contemporaneo, cristiano o musulmano, ateo o non credente, malfattore o benefattore: tu hai un padre che ti abbraccia. È ammanettato e ridotto al silenzio, ma c'è. Se appena lasci tacere il tuo chiacchiericcio interiore puoi udire le sue lacrime e scoprire che si mescolano alle tue.
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