giovedì 7 febbraio 2019

Èl'ultimo mese di una mostra, Donne nel Limite, che ha segnato il passo della nostra vita e della nostra storia. Mi trovo nell'ex chiostro nel nostro Convento di San Marino, supero le belle sculture di Paola Ceccarelli accompagnata dalle note della nostra sorella suor Maria Danuta e salgo le scale. Al piano superiore dello spazio espositivo sono in mostra le fotografie di Nidaa Badwan, tutte ritraggono la stessa stanza. Nidaa, segregata 20 mesi in quel luogo, si ritrae in mille pose dove la rabbia, per una costrizione gratuita e una segregazione volontaria ma forzata, lascia il passo all'insopprimibile desiderio di libertà e di bene. La luce radente delle fotografie rimanda alle tele di Caravaggio, pittore ignoto alla fotografa di tradizione mediorientale, ma vicino a lei nella tensione della ricerca e nella composizione teatrale delle scene.

L'itinerario si snoda tra immagini fortemente evocative e altre più descrittive e poetiche, che spingono all'interiorità, scoperta dall'autrice proprio nel periodo della sua prigionia, come sorgente inesauribile di Bene.
Benché di diversa tradizione questa “scoperta” avvicina Nidaa all'esperienza cristiana del monachesimo, ove silenzio e stabilitas loci educano a un approfondimento sempre maggiore di sé e della propria anima.
Mi viene da pensare a quanto poco silenzio ci sia ormai nella nostra cultura. L'inquinamento acustico non è meno grave di quello ambientale, e porta a un'esasperazione dalle conseguenze tragiche. Mi sorprendo a guardare una foto di Nidaa: lei, armata di Oud (strumento orientale simile al liuto), intima il silenzio al gallo che vuol sopraffare la sua musica, vedo qui racchiusa tutta la volontà di gridare al mondo la sua dignità di donna, ridotta al silenzio da una violenza gratuita e strillante, simile a quella del volatile. I toni della ribellione lasciano pian piano spazio ad altro. Ed è in questo passaggio, puntualmente registrato dalle sue fotografie, che si fa strada la via umile della bellezza capace di sovvertire il male con la forza della grazia.

La liberazione vera avviene non già quando, di fatto, Nidaa vince le minacce dei soldati di Hamas e le loro pretese di mortificazione della dignità femminile con veli e abbigliamenti castigati, bensì quando la prigionia permette alla stessa Nidaa di accedere a uno spazio interiore sconfinato che nessuna minaccia le potrà togliere.
L'ultima foto s'intitola Waiting Visa ed è straordinaria. La stanza è ormai oscura, una debole luce colpisce due borse da viaggio e alcuni oggetti personali avvolte entro pagine di giornali che, in arabo, inneggiano alla forza del regime. Il suo volto sempre nascosto ora è di fronte a noi, lo vediamo perfettamente perché illuminato dalla luce bianchissima (e quasi soprannaturale) di un iPhone che gli restituisce l'immagine del conseguito Visto per il viaggio.
Quando tutto questo accadeva Nidaa aveva ventitré anni. Mi sorprende una domanda: quali dei nostri giovani a vent'anni sarebbero in grado di avere una tale forza d'animo? Non abbiamo forse sottratto loro la grande forza che offre il silenzio e la rinuncia? Non abbiamo dato loro forse spazi di libertà illusori che hanno indebolito la coscienza?
Quasi come una risposta mi risponde l'ennesimo caso di violenza gratuita, omicidi senza senso e senza regole. Chissà forse dovremmo parlarne di meno e usare anche nei mezzi di comunicazione sociale più discrezione e meno mercificazione del dolore.

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