domenica 30 dicembre 2018
Ora che un figlio sta per sposarsi sto cominciando, silenziosamente, a immaginare. Al sabato, al mercato, passo più lentamente del solito davanti al banco coi vestitini per neonati. Non oso fermarmi, però spio le tutine, i pigiami, i bavaglini. Tu pensa, mi dico, tenere in braccio, ancora, un tipo lungo quaranta centimetri. Un nipote. Di nuovo armeggiare con ciucci e biberon. Come tornare indietro. Come tornare a sorridere. Forse, un giorno veramente andremo al mare con un nipote di tre anni. E potrò di nuovo, felice, comprare coccodrilli gonfiabili, e secchielli, e palette color pastello. E giocheremo, e io alzerò castelli, mostrando quanto bagnata deve essere la sabbia, perché le torri stiano in piedi. E in campagna gli comprerò gli stivali di gomma, per saltare nelle pozzanghere, e torneremo tutti infangati; e accenderemo il fuoco nel camino e ci riscalderemo, ipnotizzati insieme dalla danza ardente delle fiamme. Per farlo dormire mi inventerò una fiaba, come quelle che mi raccontava mia madre: assurde fiabe con comò innamorati e armadi parlanti, inventate in quell'istante. Nascerà, mi dico in certe sere buie d'autunno, in cui mi pare che tutto declini. Nascerà, e con lui comincerà un altro mondo. Una volta ancora, come con ogni figlio. Con ogni figlio dei figli - con ogni bambino.
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