giovedì 22 giugno 2017
Fra qualche giorno passerò il testimone e ci saluteremo. Sono volati, questi tre mesi in vostra compagnia. Nel corso dei quali ho imparato alcune cose.
Prima fra tutte: ottima pratica, riservare a qualche forma di meditazione le prime ore del mattino. La preghiera, per chi ha fede. Un intimo raccoglimento per altri. La scrittura, in questo caso. Si campa «di rendita» per il resto della giornata.
Certe volte sei riottosa, non ne hai nessuna voglia, vorresti andare a correre, cincischi, perdi tempo, ti alzi di continuo dalla sedia, per un caffè – nel mio caso: cioccolato –, una telefonata, o le verdure del minestrone da tagliare.
Sono le volte, credetemi, in cui ciò che attende di essere pensato è più meritevole di attenzione. Forse è proprio per questo che scappi. Finalmente riesci a fermarti, accetti, ti inoltri, sprofondi.
Vorrei saper conservare in altra forma – e suggerire a tutte e tutti – questa abitudine, dalla quale esci ben baricentrata e fortificata, in grado di affrontare il tumulto quotidiano dell'insensato senza esserne travolta: quello che conta l'hai già in te, e con te.
L'altra cosa è stata la paura iniziale dei possibili giudizi: dovrò frenarmi, ho pensato, contenermi, moderarmi? Non è mai capitato. Tutto è venuto – l'insignificanza, l'errore e quel poco di giusto e sensato che ho scritto – dal profondo del cuore. Ed è quello che conta, mi pare.
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