giovedì 8 febbraio 2018

Ci guardiamo ogni giorno allo specchio. Ogni giorno, volenti o nolenti, ci giudichiamo. Confrontiamo i nostri desideri con la realtà. Lo specchio è veritiero, restituisce impietoso un'immagine di fronte alla quale non possiamo sottrarci, mistificare. Così è la realtà quotidiana. Non così, invece, il modus vivendi attuale. Parole come giudizio e identità sono mal tollerate quando non bandite o ritenute sconvenienti.
Noi monache non guardiamo la televisione, salvo in rari casi. Ci capita pochissimo di sostare in siti di attualità, ma quando accade, per motivi di lavoro o di altro genere, l'inconscio assembla immagini terrificanti desunte dalle notizie incontrate. Più di quella d'altri, esposti continuamente alla cronaca nera e non, la nostra interiorità assorbe facilmente le suggestioni. Così: ragazze fatte a pezzi, persone barbaramente uccise, bambine violate dagli stessi genitori, frodi e inganni danzano nel nostro cielo notturno come specchio di una società ammalata. Gravemente ammalata. Come si può non vedere? Come è possibile non giudicare? Come può essere definita libera una società laicista ove non esiste più lo specchio della Verità, del giudizio, dell'identità? Dove ognuno si specchia, non in un bene oggettivo, ma in un proprio personale progetto di vita che offre pochissime garanzie di riuscita, anzi rileva mostruose incongruenze che la stessa laicissima scienza registra?

Renè Magritte, Il falso specchio - 1928 - olio su tela, 54 x 80,9 cm. The Museum of Modern Art, New York


Mi viene in mente lo specchio di Magritte: un occhio indagatore dalla pupilla senza luce che ti guarda impietoso. Magritte trae la sua ispirazione dall'occhio divino, dall'occhio quale specchio dell'anima e denuncia un mondo che ha perso il suo Cielo. Egli, per primo l'aveva perduto. All'età di dodici anni dopo il tragico incidente occorso a sua madre, annegata in un fiume, aveva gridato con tutta la sua anima adolescente: Dio non c'è! Come può Dio permettere che la realtà contraddica in modo così plateale le attese di un ragazzino? Come può un corpo nudo col volto coperto rivelarsi di colpo a un dodicenne che si affaccia alla vita come il corpo di sua madre? Sì, il mondo ha perduto il suo Cielo per Magritte, ma anche per noi. E se Magritte inconsciamente lo cerca nella sua sconcertante pittura, noi forse abbiamo smesso di cercarlo.
Il cielo nell'occhio è ciò che l'uomo sta vedendo o è il desiderio che lo abita? Il titolo orienta la risposta: un falso specchio è uno specchio che non riflette. Dunque ciò che vediamo viene dal di dentro di quell'uomo. La pupilla è senza luce perché, appunto, non è proiettata fuori, ma vede dentro. E dentro danzano cielo e oscurità. Impossibile all'uomo vivere senza un accordo tra realtà esterna e realtà interna. Impossibile all'uomo vivere senza che la sua identità costruisca attorno a sé un mondo adeguato alle proprie attese, alle logiche entro cui lavorare, vivere, crescere i propri figli e spendere il proprio tempo libero. Eppure è ciò che stiamo facendo. Ci condanniamo a una pace illusoria che solo raramente viene scossa e riportata a quella realtà che solo identità e giudizio ci restituirebbero. Penso a quanto il Papa ha chiesto per il 23 febbraio prossimo: una giornata di preghiera e di digiuno. Ecco il Cielo che ci manca, un ritorno al Mistero che ha originato la nostra cultura, un ritorno a quella pace che non si edifica senza giustizia e verità. Quella verità assoluta come il Cielo, cui anche il tormentato Magritte anelava: il Cielo come riflesso di Dio, ma anche come riflesso di quel desiderio di infinito che nessuna Dat può sopprimere.

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