martedì 22 aprile 2003
Poco dopo il mio arrivo nel lager, verso sera, mi si avvicinò un tale e mi chiese con cautela se volessi ascoltare l'Apocalisse. Mi condusse nel locale della caldaia e lì, nella penombra di quel covile simile a una caverna, si erano già raccolte alcune persone. Illuminato dai bagliori rossastri della caldaia, un uomo si alzò e cominciò a recitare, parola per parola, l'Apocalisse. Poi disse a un altro: E adesso, continua tu! E quegli si alzò e recitò a memoria il capitolo successivo" Mi resi conto che quei detenuti si erano suddivisi tutti i principali testi della Bibbia, li avevano imparati a memoria e li ripetevano per non dimenticarli. Forse qualcuno ricorda il romanzo Fahrenheit 451 dell'americano Ray Bradbury, divenuto anche un bel film di Truffaut: in uno stato in cui i libri sono bruciati al rogo, alcune persone decidono di imparare a memoria Dante, Shakespeare, Goethe e così via, conservando in tal modo le parole e il messaggio dei libri. Qualcosa del genere accadde in uno dei gulag sovietici ed è lo scrittore Andrej Siniavskij (1925-1997) a rievocarlo in un brano della sua Parabola di Pasqua (ed. La Locusta). Ciò che emoziona in questo racconto non è tanto la capacità di tener vivo un libro sacro ma di comunicarlo, anche in mezzo a rischi gravi, perché diventi sorgente di vita e di speranza in un orizzonte desolato e disumano. Avremmo bisogno di più di sentire questa necessità della Parola in un tempo in cui
essa non è osteggiata ma dimenticata e ignorata (ed è sicuramente peggio!). «Verranno giorni - dice il Signore Dio - in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane né sete d'acqua, ma d'ascoltare la parola del Signore» (Amos 8, 11).
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