giovedì 28 luglio 2005
Furono dati gli occhi a un cieco: subito chiese di avere anche le sopracciglia.Durante una cena in casa di amici mi viene presentato un signore della Georgia, la repubblica caucasica con capitale Tbilisi, appena uscita da turbolenze politiche. Mi interessano notizie su questa lingua perché in essa fu tradotta la Bibbia a partire già dal V sec., in codici importanti. Vengo, così, a conoscenza di un aforisma georgiano, che propongo oggi ai miei lettori. La sua incisività è indubbia e colpisce un difetto che un po" tutti ci trasciniamo dietro, quello che ci rende incontentabili. Vogliamo, esigiamo, pretendiamo, reclamiamo, richiediamo senza sosta, quasi tutto ci fosse dovuto. L"insoddisfazione non ci permette neppure di godere quello che abbiamo ottenuto perché, subito dopo, siamo pronti a protestare perché desidereremmo qualcos"altro.È, questo, un vizio che riguarda non solo il possesso ma anche l"intelligenza: vorremmo capire e risolvere tutto. Riguarda la stessa vita: se abbiamo un dolore, ci lamentiamo; se passa, ci sembra poca cosa la serenità; se siamo soli, vorremmo una presenza; quando abbiamo una persona accanto, ci annoiamo. La litania potrebbe proseguire all"infinito. Non conosciamo il gusto della semplicità, del poco, della sobrietà, dell"essenzialità, dell"essere appagati anche nelle piccole cose e nella quotidianità. È l"atteggiamento illustrato dall"autore sacro nel delizioso quadretto del Salmo 131: «Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l"anima mia». È questa pace interiore, libera da tensioni incessanti, il dono più prezioso.
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