martedì 11 luglio 2006
Un eremita venne interrogato dal giovane discepolo sul perché l"umanità riesca in alcuni casi ad essere tanto perversa e, in altri, tanto buona e generosa: «Abitano in noi " rispose l"eremita " due bestie affamate: una feroce e l"altra mansueta». Domandò il discepolo: «Quale delle due prevarrà in me?». Rispose: «Quella che più verrà da te nutrita».Nel giorno dedicato a s. Benedetto, padre del monachesimo occidentale, evochiamo uno dei tanti apologhi dei maestri che vivevano nella solitudine aspra del deserto egiziano. L"eremita offre una lezione semplice che intreccia in sé sapienza psicologica e impegno morale. Da un lato, infatti, si registra quell"eterno conflitto interiore che ci squarcia l"anima e talora anche il corpo e che s. Paolo rappresentava nel cap. 7 della Lettera ai Romani, riassumendolo alla fine in questa frase: «Acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un"altra legge che muove guerra alla legge della mia mente» (7, 22-23).D"altro lato, ecco l"appello dell"antico monaco: non devi nutrire la bestia maligna che è in te. È, questo, il compito della libertà che ci è stata donata. Anche a costo di sudare, affaticarci, scorticarci interiormente, dobbiamo avere il coraggio di non gettare in pasto odio, orgoglio, vizio, egoismo a quelle fauci spalancate. È l"esercizio rigoroso della morale, dell"autocontrollo, dell"impegno personale. Ma s. Paolo aggiungeva un altro, fondamentale, elemento. In questa lotta non siamo soli: «Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!» (7, 24-25). C"è accanto a noi una mano forte che dobbiamo afferrare per liberarci da quelle fauci e levarci in alto verso la luce. Libertà e grazia devono abbracciarsi mentre procediamo sulla via della vita.
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