domenica 6 febbraio 2022
Il bebè, sui nove mesi, tutina firmata, il passeggino sontuoso come un trono, procede regalmente per via Montenapoleone, spinto dai giovani genitori orgogliosi. Li guardo con nostalgia: forse ero così anche io, trent'anni e tre figli fa. C'è una cosa, so però ora, che non ti insegnano quando hai un figlio: che quel bambino, sedici anni dopo o anche prima, dovrai lasciarlo andare. Altro da te, altra e magari altrove, lontana, la sua vita. Direte che è ovvio, che si sa: «Lascerai tuo padre e tua madre...», dice la Scrittura.
No, non è così ovvio, oggi. Su quell'unico figlio, al massimo su due, si concentra una mole di attenzioni, risorse, attese che non gravavano sui figli delle famiglie numerose di un tempo. E viene naturale, nell'amore, nella trepidazione della crescita, negli anni, pensare che quel bambino sia “tuo”. L'adolescenza è già spesso un brusco risveglio. L'andarsene poi, il farsi il figlio una vita altrove, sono infine una realtà che può anche lasciare sbalorditi. La casa vuota, le stanze mute e tristemente in ordine, nessun compagno che si ferma a cena.
Che silenzio. È stato solo un sogno? No, e però quel figlio non era “tuo”. Ti era solo stato affidato. Ora, libero, va. Non lo sanno, temo, quei due giovani genitori orgogliosi col passeggino in via Monte Napoleone. Così come, in verità, non lo sapevo io.
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