mercoledì 3 giugno 2020
Milano ricomincia a vivere. In qualcosa, non esattamente uguale a prima. I locali mettono i tavoli all'aperto sui marciapiedi dove parcheggiavano le auto. Nelle strade torna il traffico, finalmente, come sangue che scorre di nuovo nelle vene (quanto è stata triste, immobile, senza i pendolari, i duecentomila studenti fuori sede, e i turisti, e i visitatori di un giorno con il trolley per mano). Poi, un numero di biciclette mai viste, e monopattini elettrici, una folla di giovani che si riprende la libertà di muoversi: ma velocemente, silenziosamente, senza auto, senza l'affollamento dei mezzi. Ripenso alle biciclette della mia adolescenza – tre o quattro, giacché sistematicamente le rubavano. Pochi si avventuravano in bici per Milano, a fine anni '70: uno smog denso, un traffico ben peggio di adesso, e soprattutto le automobili “padrone”: di parcheggiare sui marciapiedi o di sfiorare pericolosamente noi poveretti che sobbalzavamo sui lastroni del pavet. Le biciclette erano, allora, delle intruse; e non appena conquistata la patente, le si abbandonava con sollievo. Le bici di oggi invece sono orgogliose e a tratti anche prepotenti, filano in contromano o sui marciapiedi, come dicendo: la città è nostra, ora. Che sia l'inizio di un golpe? Che l'epidemia, costringendoci prigionieri per tre mesi, abbia generato la voglia di essere più liberi? Anche con i capelli grigi ci si avventura sulle due ruote, vedo. E, ammetto, ne ho voglia perfino io. Guardo le bici a noleggio del Comune parcheggiate, la sera, e sogno di prenderne una e arrivare fino in Duomo – pedalando, neanche un quarto d'ora. Niente code, niente parcheggio: liberi come l'aria. Poi realisticamente considero quante ossa essenziali mi romperei, alla mia età, se cadessi, e lascio perdere. Però che bello sarebbe: il vento sulla faccia, come una volta. Milano dopo il Covid è lei, eppure un po' diversa. Come cercasse una nuova libertà.
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