giovedì 16 marzo 2017
Tante volte, quello che noi siamo si proietta in una domanda in forma di grido. E questo grido è una sorta di richiesta rivolta all'Altro per trovare una risposta, un punto d'appoggio senza il quale sentiamo che ci perderemmo. Noi nasciamo così, e questa modalità ci accompagna per l'intera vita, anche se i nostri gridi si fanno poi tendenzialmente inudibili, tanto silenziosi che diventano. Ma ci sono, per chi voglia sentirli. Il grido esprime, da un lato, l'indigenza della nostra fragile vita. Soli, ci scopriamo esposti al contingente, disarmati davanti alla sua vertigine, invasi da un senso di impotenza e di pericolo. Ma, dall'altro lato, il grido reitera in maniera univoca fino a qual punto ci sia imprescindibile l'altrui presenza. Senza la risposta dell'Altro, la nostra vita deperirebbe, continueremmo a essere un interrogativo che avanza a tastoni lungo i muri notturni del tempo, saremmo niente più che una voglia di vivere che non arriva davvero a consumarsi. Spetta all'Altro raccogliere il nostro grido trasformandolo in una parola umana, interpretandolo come una richiesta d'amore. «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Lascia da pensare che, dall'alto della croce, Gesù viva i suoi ultimi istanti trasformato in grido. Cioè trasformato in appello, domanda, preghiera.
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