mercoledì 5 luglio 2006
La saggezza consiste semplicemente nel non insegnare a Dio come si debbano fare le cose. Ammettere di buon grado che le nostre idee non hanno motivo di interessare chicchessia è il primo passo verso la saggezza. Già un'altra volta abbiamo attinto alle massime di un autore colombiano discutibile ma spesso acuto, Nicolas Gomez Dávila (In margine a un testo implicito, Adelphi 2001), vissuto tra il 1913 e il 1994. Ora proponiamo due aforismi che hanno per tema la saggezza, una dote rara di cui però tutti sono convinti di esserne abbondantemente provvisti. Da un lato, si sottolinea che una cartina di tornasole del suo possesso da parte di una persona la si ha quando non si pretende di voler insegnare a Dio quel che deve fare. È la tipica arroganza di chi è convinto di avere una visione seria e giustificata per ogni aspetto della realtà, accompagnata dal sottile compianto che nessuno riesca a capirla e ad adottarla. Quante persone sono perennemente in lamento perché sono certe che il mondo non va come loro vorrebbero e, proprio per questo, si sentono profeti inascoltati e vittime d'incomprensione. D'altro lato, Dávila ci ricorda un'altra legge di sapienza: l'umiltà realistica (non quella "pelosa"), ossia la consapevolezza che le nostre teorie non sono così capitali da meritare che il mondo si fermi per ascoltarle. Quanti rimangono male e si scoraggiano perché quello che a loro sembra geniale viene invece snobbato dagli altri con sbrigatività. Certo, in agguato ci può essere sempre la superficialità altrui, ma una certa dose di autocritica e di auto-smitizzazione farebbe sempre bene e rivelerebbe saggezza. È questa la vera umiltà che ci impedisce di subire umiliazioni.
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