martedì 23 gennaio 2024
Dal fondo dei lunghi corridoi del Parini un passo frettoloso. Capelli bianchi stretti a crocchia, segaligna, occhi penetranti, la professoressa M. avanzava, puntale, verso la mia aula. Due ore di matematica, un tempo infinito. Quella borsa scura, gonfia di compiti corretti a matita rossa e blu: già stavo male. La signorina M. alla lavagna tracciava seni e coseni e tangenti. Io, zero. Come un’area del mio cervello in blackout. Avevo anche paura, di radici e incognite: che lingua straordinaria, io però non la parlavo. La professoressa M. mi inquadrò subito. Finita una spiegazione puntò su di me lo sguardo algido. Balbettai qualcosa, ripetei il suggerimento di una compagna pietosa, piombai in silenzio. La faccia di M. che mi squadrava come un entomologo esamina un coleottero, mi è indimenticabile. «Lei Corradi è un caso patologico. Si consideri già rimandata». Non replicai. L’analisi era esatta. Quelle equazioni irte di x e y nelle mie mani si gonfiavano di numeri periodici, grondanti di zeri. Due. Quattro, se andava bene. La professoressa mi porgeva il compito con la punta delle dita, indignata. Ma non gliene volevo. Mi aveva detto, nei miei sedici anni, una cosa vera. Una coordinata esatta, almeno. Finita la Maturità buttai via i libri di matematica. Il “tumpf” nel bidone del cortile, che sollievo. Ripenso a quegli occhi severi, e sorrido. © riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: