venerdì 9 settembre 2005
Una terribile predizione aveva annunziato che la figlia appena nata al re sarebbe stata in pericolo di morte fino al compimento dei diciotto anni. Il padre, allora, per proteggerla da questo rischio la rinchiuse nella torre di Burana, solitaria in una pianura sconfinata. A nulla, però, valse questa scelta: proprio il giorno del compimento del diciottesimo anno, la morte giunse puntuale sotto le sembianze di un ragno velenoso che, uscendo da un cesto di frutta, morse la principessa uccidendola.L"altro ieri ho evocato la cultura armena. Oggi conduco idealmente i miei lettori - attraverso la leggenda che trovo in un libro sul Kirghizistan - in questa regione remota, attraversata dalla via della seta e salita alla ribalta qualche mese fa per una sommossa popolare detta la "rivoluzione dei tulipani" contro il regime locale. Molti anni fa, sotto l"impero sovietico, visitai questa repubblica e mi recai a contemplare quella torre a tronco di cono, non molto lontana dalla capitale Bishkek.L"idea sottesa al racconto è naturalmente quella dell"irreversibilità del destino. Ma c"è anche un tema caro all"Oriente, quello dell"impossibilità di sfuggire alla morte. Certo, è a prima vista lugubre la consapevolezza di avere una sorta di spada pendente sul capo. Eppure è un dato indiscutibile: ognuno di noi, chi ora scrive e chi mi legge, ha già simbolicamente incisa sulla fronte la data della sua morte. Cercare qualche volta di ricordare questa verità non è un"operazione da menagramo, ma un modo per prendere la giusta misura della stessa vita, delle scelte, dei valori. Spesso, infatti, organizziamo la nostra esistenza come se dovessimo essere sempre qui, tra le cose che amiamo e forse adoriamo, senza ripeterci che la nostra meta ultima è oltre questo orizzonte.
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