sabato 19 agosto 2017
Era il 15 agosto del 1948, quasi esattamente sessantanove anni fa, quando Madre Teresa, finalmente ottenuta dopo due anni di insistenze l'autorizzazione vaticana, svestì l'abito delle Suore di Loreto per incamminarsi lungo la strada della sua «seconda chiamata». Il sari bianco e azzurro, i colori della casta degli intoccabili, sarebbe arrivato solo due anni dopo, e i primi mesi Madre Teresa li avrebbe spesi per prepararsi alla sua nuova vita; ma nel gesto di quella metà di agosto c'era già tutto. Lo spogliarsi non solo di un abito ma di ogni cosa, di ogni sicurezza umana, di ogni certezza, persino della propria cultura, per essere solamente «una matita nelle mani di Dio», e dedicarsi ai «rifiuti» della società, per restituire a quegli «scarti», almeno nella morte, quel minimo di dignità umana che dovrebbe essere inalienabile diritto di tutti.
Qualche giorno fa, quando papa Francesco all'Angelus ha spiegato la grandezza del «Magnificat», è stato proprio impossibile non ripensare a Madre Teresa, della quale il prossimo 5 settembre ricorreranno i vent'anni dalla morte. Perché il Magnificat è «un canto di lode a Dio – ha spiegato il Pontefice – che opera grandi cose attraverso le persone umili, sconosciute al mondo, come Maria stessa, come il suo sposo Giuseppe, e come anche il luogo in cui vivono, Nazareth». Già, l'umiltà. «Le grandi cose che Dio ha fatto con le persone umili! – ha esclamato papa Bergoglio – Le grandi cose che il Signore fa nel mondo con gli umili, perché l'umiltà è come un vuoto che lascia posto a Dio. L'umile è potente, perché umile, non perché forte. È questa la grandezza dell'umile, dell'umiltà». E infatti, il Magnificat «canta il Dio misericordioso e fedele che compie il suo disegno di salvezza con i piccoli poveri, con quelli che hanno fede in lui, che si fidano della sua parola, come Maria». C'è qualcuno che non riconosca Madre Teresa in quella «potenza dell'umiltà»? C'è qualcuno che non possa accostare a questa immagine in apparenza così esageratamente paradossale l'esperienza di tanti «umili» che in silenzio, spesso sconosciuti al mondo, sono riusciti a cambiare, almeno in parte, il mondo attorno a loro? È questo, in fondo, lo spirito e la grandezza del Magnificat. La cui anima, come disse Benedetto XVI in una catechesi del 2006, «è lo stile a cui il Signore della storia ispira il suo comportamento: egli si schiera dalla parte degli ultimi. Il suo è un progetto che è spesso nascosto sotto il terreno opaco delle vicende umane, che vedono trionfare i superbi, i potenti e i ricchi. Eppure la sua forza è destinata alla fine a svelarsi per mostrare chi sono gli eletti di Dio: coloro che lo temono, fedeli alla sua parola, e gli umili, gli affamati, Israele suo servo, ossia la comunità del popolo di Dio che, come Maria, è costituita da coloro che sono poveri, puri e semplici di cuore». Così – ha ricordato martedì papa Bergoglio nel giorno della festa dell'Assunzione – portando al mondo Cristo «Maria porta anche a noi una gioia nuova, piena di significato. Ci porta una nuova capacità di attraversare con fede i momenti più dolorosi e difficili; ci porta la capacità di misericordia, per perdonarci, comprenderci, sostenerci gli uni con gli altri». Uno stile, questo del Magnificat, che sembra così lontano, estraneo, impossibile nel mondo di oggi. “Roba da Madre Teresa”, appunto. Roba da grandi santi. Però, se non possiamo essere come Madre Teresa, almeno dovremmo imparare a provarci, nel nostro piccolo.
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