martedì 14 febbraio 2017
Mi hanno raccontato che quando il cardinale Jean-Marie Lustiger, arcivescovo di Parigi, fu creato membro dell'Académie Française, gli chiesero quale fosse per lui la parola francese più bella. Lustiger, ebreo per parte di madre come di padre, e convertito al cristianesimo, rispose: «Per me, la parola francese più bella è "alleluia"». Chiaramente era una sorta di scherzo, dato che "alleluia" non è, propriamente, parola francese ma ebraica. Il che non toglie che il cardinale non avesse ragione, e che "alleluia" non sia effettivamente la più bella parola in qualsiasi lingua. "Alleluia" è la leva che apre a un mondo nuovo, mettendo in scacco l'apparente irreversibilità della vita, sfatalizzando la storia, inaugurando una breccia che ci permette di guardare alla realtà con una chiave nuova. La parola "alleluia" non è solo una parola singolare: è la più bella delle parole. Pronunciarla, come noi cristiani facciamo, è assumersi la responsabilità del suo significato, indissociabile dalla più grande delle pretese della nostra fede: che ci fu un uomo che risuscitò, un uomo figlio di Dio, e che quell'evento è oggi il motore trasformante del mondo. Colui che si trovava inchiodato su una croce è vivo, e riscatta il nostro corpo segnato dalla carenza affidandoci incessantemente alla pienezza di Dio.
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