mercoledì 27 dicembre 2006
La parola è potentissima quando viene dall'anima e mette in moto tutte le facoltà dell'anima nei suoi lettori; ma, quando il di dentro è vuoto e la parola non esprime che se stessa, riesce insipida e noiosa. «In principio era il Logos, la Parola"»: inizia così il Vangelo di Giovanni, l'evangelista che oggi la liturgia festeggia. Certo, in greco Logos ha una carica molto forte e densa di significati; rimane, comunque, il fatto che la Parola, questa realtà grande e fragile dell'umanità, sia stata assunta dalla Bibbia non solo per la rivelazione ma anche per l'incarnazione divina. Quand'ero giovane studente, il mio professore di letteratura italiana, vedendo la mia passione per la materia, mi regalò la Storia della letteratura italiana che il famoso critico Francesco De Sanctis compose tra il 1870 e il 1871. L'ho ritrovata in questi giorni nella casa della mia famiglia e ho scoperto questa bella considerazione sulla parola. Quella che conta è «la parola che viene dall'anima» e non quella che fiorisce dal vuoto interiore. Il poeta francese Charles Péguy, a proposito degli scrittori (ma la cosa vale per tutti), affermava che «uno la parola se la strappa dalle viscere, l'altro la tira fuori dalla tasca del soprabito». Chi non ricorda quel mormorio (o grido?) di Amleto: Words, words, words, solo parole che svaniscono nel nulla perché nulla contengono, essendo nate dal nulla che uno ha dentro. C'è, quindi, bisogno di una ricchezza interiore prima di parlare o scrivere, è necessario ascolto e lettura di altre parole grandi e supreme, come sono appunto quelle del Vangelo che - proprio in questa giornata ancora natalizia e "giovannea" - meriterebbero di riecheggiare nella nostra mente e nel cuore.
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