giovedì 7 ottobre 2021
Negli ultimi mesi, quasi con orrore, mi sono reso conto che non ricordo più il suono della mia voce. Sì, è vero, qua e là su Internet, o altrove, posso sempre ritrovare registrazioni dove posso ascoltare me che parlo, vecchie interviste e cose così, ma non è la stessa cosa. Mi dicevano che la mia era una bella voce. Una volta una mia amica, che faceva l'attrice mi disse che avrei dovuto recitare, o almeno fare il doppiatore. Ma quando ascolto quelle registrazioni, mi sembra di ascoltare una gallina. Credo che capiti a tutti: quando ci succede di riascoltarci in una qualunque registrazione, anche una semplice segreteria telefonica, molto semplicemente non ci riconosciamo. Ci viene da ridere, o come minimo ci stupiamo, perché la nostra stessa voce ci suona estranea, buffa, come distorta. Al punto che arriviamo a chiederci "ma non è possibile, questo sono davvero io?", tanto è diversa da come ci risuona dentro mentre parliamo. Ecco, io ormai è questo che non ricordo più: come la mia voce risuonava dentro di me, come io mi "sentivo".
Questo è l'ultimo "regalo" che mi ha fatto la Sla. Del quale, come si può immaginare, non ringrazio. Del resto la Sla mi ha tolto già praticamente tutto, non dovrebbe stupirmi più. Ma ogni tanto mi chiedo a che cosa toccherà la prossima volta. Perché è sicuro che prima o poi ci sarà una prossima volta, che qualcos'altro mi verrà rubato. Oggi è la memoria della mia voce, domani chissà... Sembra però che una cosa che la Sla non tocca sia il cervello, nel senso che mi lascerà lucido e senziente fino alla fine. Un modo un po' crudele in cui questa malattia inesorabilmente degenerativa ti fa vivere ogni minuto, con la piena consapevolezza di avvicinarti ogni giorno di più alla morte. Non è una bella sensazione, lo devo ammettere. Neanche un po'.
Mi ritrovo spesso, così, a pensare che forse, senza questa lucidità, senza questa consapevolezza, vivrei meglio. Non starei continuamente a farmi le mille domande che mi affollano il cervello, domande che non hanno risposta, o a preoccuparmi per la fatica che causo – involontariamente ma inevitabilmente – alle persone che mi sono care, e ad arrovellarmi per tutti i problemi che ci sono, e che mi sembrano invincibili. Mi chiedo se non sarebbe meglio alla fine vivere in uno stato di obnubilazione, di perenne stordimento, così da togliermi almeno un po' questa terribile sensazione di ineluttabilità, questo nodo pesante, soffocante, che mi strangola un po' per volta. Non dico tanto, solo un po'. Ma la Sla è questa, e non le importa di che cosa vorrei io. Anzi, forse se la ride.
(59-Avvenire.it/rubriche/Slalom)
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