sabato 14 luglio 2007
La lussuria è come l'avarizia: aumenta la propria sete con l'acquisizione del tesoro agognato.
Ho ormai finito e consegnato all'editore il libro che ho voluto dedicare ai vizi, dopo essermi in passato consacrato a parlare delle virtù. Quasi inconsciamente ho compiuto anch'io un eccesso: il volume sui peccati sarà lungo il triplo di quello sulle virtù morali. Sì, il vizio ama e vive di eccesso e questa sfrenatezza paradossalmente non cancella ma stimola la fame. Basterebbe sfogliare anche solo un freddo manuale di psicopatia sessuale per rimanere sconcertati di fronte a uno spettro così inesauribile di perversioni. Ha, perciò, ragione il celebre barone di Montesquieu (1689-1755), sì, quello dello Spirito delle leggi, quando instaura questo parallelo tra impudicizia e avarizia. Il piacere non si sazia mai e continua a crescere quanto più lo soddisfi, in una sorta di famelicità animalesca.
Eppure non è del tutto vera questa pur indubitabile considerazione. La moltiplicazione degli atti sessuali, l'esasperazione del nudo in televisione, la volgarità galoppante nel linguaggio e nel comportamento non solo spesso creano noia ma fanno cadere il desiderio fino a quasi estinguerlo, creando fenomeni di saturazione o di impotenza. Alla fine, a furia di trasgredire, non rimane che il vuoto ed è per questo che torna di moda persino la castità (naturalmente non con tutti i valori simbolici e interiori che la tradizione
autentica cristiana le assegna). Bisogna, allora, ritornare a insegnare, a comprendere e a vivere la genuina sessualità che, nella persona umana, non può essere sperimentata in pienezza se non s'intreccia con la tenerezza, il sentimento, la passione e soprattutto l'amore.
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