giovedì 12 marzo 2015



Volano nell’aria i serpenti infuocati dipinti da Michelangelo nella Cappella Sistina. Volano planando sul popolo d’Israele uccidendolo. La bibbia ebraica, del resto, parla di serpenti infuocati: saraf, rimando abbastanza esplicito ad altri esseri infuocati, i serafini. Questi ardenti di carità, quelli roventi di morte. Così, al centro della vela affrescata da Michelangelo, si erge il serpente di rame di Mosè che, innalzato nel deserto, garantisce salute e vita a quanti, dopo essere stati morsi, lo guardano. Il serpente rossiccio s’innalza quale vessillo sul bastone mosaico appeso alla maniera dell’antico caduceo e il primo salvato, per il Buonarroti, è un bambino; simbolo di quell’altro Bambino che si trastullerà sulla buca dell’aspide senza subirne danno, il Cristo, vero salvifico serpente. Lo rivelò Gesù stesso a Nicodemo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto così sarà innalzato il Figlio dell’Uomo (Gv 3,14)» e «Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me (Gv 12, 32) ».
Un’antica tradizione vuole che il serpente biblico di Mosè sia custodito a Milano, in sant’Ambrogio. Qui nella navata centrale una colonna sostiene un serpente di bronzo, quello appunto di Mosè, che l’arcivescovo Arnolfo al tempo di Ottone III, portò dall’Oriente attorno all’anno mille. Da allora il serpente divenne il simbolo della città e cominciò ad apparire sui suoi stendardi. Il serpente ambrosiano, la cui origine sembra in realtà legata a un ex voto per una cessata pestilenza, non ha la forma del pagano caduceo, quanto piuttosto quella dei serpenti di alcuni pastorali ortodossi, dove il corpo del rettile, con testa e coda incrociate, viene a formare un anello. Collocato sopra la colonna, il serpente rimanda in modo efficace al legame fra croce ed Eucaristia. Se il palo della croce dice il sacrificio, la forma geometrica del cerchio (come l’Eucaristia) rimanda all’infinito e, dunque, all’eternità. Sant’Ambrogio, commentando il salmo 37, citava un’antica usanza secondo la quale ci si curava dai morsi velenosi dei serpenti cibandosi della teriaca, cioè della carne del serpente triturata col veleno. Anche il cristiano, cibandosi del corpo di Cristo, Signore della vita, è guarito dai morsi della morte. Tuttavia assume un antidoto solo chi sa di essere malato: come la teriaca è composta di carne mescolata a veleno, così l’assunzione della Carne del Salvatore deve essere accompagnata dalla contrizione del cuore. Vien da domandarsi se chi pretende oggi l’Eucaristia, abbia la coscienza di essere malato. Oggi, che l’assenza del senso del peccato ha stravolto il nostro rapporto con l’esistenza e ha indotto a confondere il diritto alla vita con il diritto sulla vita, l’Eucaristia si rivela, davvero, come farmaco d’immortalità, come cibo che nutre l’uomo per una vita che non muore. Certo, come già ammoniva Sant’Agostino (Disc. su Gv. 132): «mangiare il Pane vivo significa credere in Lui. Chi crede, mangia; in modo visibile è saziato, come in modo altrettanto invisibile rinasce». La leggenda assicura che nell’ultimo giorno il serpente di bronzo collocato in sant’Ambrogio scenderà dalla colonna e striscerà fino alla valle di Giosafat, dove si compirà il giudizio ultimo sull’umanità. Allora chi si sarà cibato degnamente della Carne del Signore non conoscerà la morte; chi avrà guardato a Cristo Presente e operante nell’Eucaristia, riconoscendogli la sovranità sulla vita e sulla morte, non temerà alcun male: avendo il suo sguardo riconosciuto Dio in mezzo agli uomini, anch’egli sarà riconosciuto dal Padre in quell’ultimo giorno.

 
Immagini: Michelangelo Buonarroti Il serpente di rame, affresco 1511 Cappella Sistina Serpente (detto) di Basilio II (1007) Basilica di Sant’Ambrogio Milano.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI