giovedì 15 settembre 2005
Ho parlato a una capra./ Era sola sul prato, era legata./ Sazia d"erba, bagnata/ dalla pioggia, belava./ Quell"uguale belato era fraterno/ al mio dolore. Ed io risposi, prima per celia,/ poi perché il dolore è eterno,/ ha una voce e non varia./ Questa voce sentivo/ gemere in una capra solitaria./ In una capra dal viso semita/ sentivo querelarsi ogni altro male,/ ogni altra vita.È stata una lettrice bresciana a chiedermi perché non abbia mai citato questa celebre poesia di Umberto Saba che, almeno ai miei tempi, si imparava a memoria a scuola. Forse perché la consideravo troppo nota e fin scontata; eppure è vero: essa ha una sua forza e una sua grandezza che merita di essere riproposta proprio in questa giornata che ha nel calendario la memoria della Vergine  Addolorata, una figura tanto cara alla devozione popolare mariana.Anche s. Paolo pensava alla creazione che «geme e soffre nelle doglie del parto», assieme a noi creature umane che «gemiamo interiormente aspettando l"adozione a figli e la redenzione del nostro corpo» (Romani 8, 22-23). C"è, dunque, una sorta di fraternità universale nella sofferenza: è il senso del limite, è l"esperienza della privazione, è la tensione verso la liberazione dalla morte. In ogni dolore c"è quasi " come dice il poeta triestino " un"unica voce ed è per questo che proprio nel soffrire si attua una sorta di unità e omogeneità tra tutte le creature. Bisogna, allora, non spegnere mai il senso spontaneo di pietà e il fremito di condivisione che è istillato in noi quando ci troviamo di fronte al pianto di un altro. La carità cristiana non fa che sostenere ed esaltare questo seme che è già in noi in quanto tutti figli di Adamo e quindi fratelli.
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