martedì 15 febbraio 2011
Il male è contagioso come il bene, e l'oppressione, specialmente quella esercitata dalla camorra, corrompe l'oppresso e l'oppressore, e corrompe anche chi resta lungamente spettatore di questo stato di cose senza reagire con tutte le sue forze.

Così scriveva nel 1875 (sic!) lo storico Pasquale Villari in una delle sue Lettere meridionali, giudicando una situazione che è drammaticamente identica ancora ai nostri giorni, quasi il tempo si fosse bloccato in una sorta di fermo-immagine. Tre sono gli attori che vengono fatti salire sulla ribalta: l'oppresso, l'oppressore, lo spettatore. La forza dirompente del male è tale che, partendo dalla sua sorgente (l'oppressore), riesce progressivamente a inquinare il fiume in cui si immette (l'oppresso), ma anche il terreno circostante (lo spettatore). La rete delle connivenze s'allarga, il regime del ricatto o del terrore stende il suo sudario di ingiustizia, di violenza e persino di morte, l'atmosfera camorristica o mafiosa ammorba le anime e rende tutta la società complice del male.
Detto questo, non possiamo tirarci fuori perché settentrionali o appartenenti ad altri ambiti. Non solo perché, come diceva un famoso giornalista e scrittore dell'Ottocento, Ugo Ojetti, «si è sempre meridionali di qualcuno», e quindi altri Paesi considerano chi si ritiene «settentrionale» come geograficamente e culturalmente «inferiore» rispetto al proprio punto di vista. C'è anche un rischio più universale di inquinamento delle coscienze, un declassamento dei valori morali, un'acquiescenza diffusa alla corruzione. È un'esperienza, certo, meno veemente di quella del crimine organizzato, ma si regge sullo stesso principio: «Il male è contagioso come il bene». Un principio maligno che, però, contiene in sé anche il suo antidoto: «Il bene è contagioso come il male».
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