domenica 6 dicembre 2020
Ti chiedo, Signore, di insegnarmi l'arte della compassione. Non mi permettere di inoltrarmi nel tempo come bardato di una crescente indifferenza, quasi passeggero di una capsula. Tu sai come facilmente ci trasformiamo in macchine che fabbricano ragioni per sfuggire e quanto siamo lontani dalla quotidiana realizzazione di un'amicizia sociale. Non lasciare che io veda nel mondo, con tutti i suoi dolori, un flagello indecifrabile e distante da cui semplicemente tentare di proteggermi, invece di interpretarlo come un appello che mi viene da te perché agisca in nome tuo; un appello a spogliarmi degli strati di comfort che mi isolano e a lavare i piedi dei fratelli, come facesti all'ultima cena. Non permettere che io giri la faccia dall'altra parte, come mia consuetudine; che resti sordo all'appello della nuda vita che facilmente si disperde in mezzo ad altre voci; che accampi scuse per restarmene occupato in altre sfere; che mi culli in un comodismo che si maschera di giudiziosità: ormai è troppo tardi, non ci si può fare niente. Insegnami a mettermi in gioco, a vivere la mia esistenza in uscita, a intenderla come una vita che non mi appartiene completamente perché ipotecata alla compassione, alla misericordia e alla cura degli altri. Insegnami l'orazione vera, quella fatta non di parole ma di gesti, quella che il buon samaritano faceva salire fino a te.
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