venerdì 25 gennaio 2019
Da critico cinematografico irregolare e curioso o, come si dice, non iscritto all'albo, ho sempre avuto attenzione e passione per un cinema irregolare e curioso, e ho visto anche nel genere horror un interesse extra-artistico. La cultura popolare innervava un tempo la produzione cinematografica suggerendogli temi e modi che viravano facilmente al fantastico, e tra questi il genere horror era tra i più intriganti. Rivelava, pensavo, le strade di un inconscio collettivo ed era infine più interessante di tanti film che si dicevano realistici. Per esempio, negli anni '70 del cinema Usa, una insicurezza collettiva, di cui era portavoce anche uno scrittore (grande!) come Stephen King. È uscito da poco per Donzelli un denso volume, molto illustrato e di quasi 400 pagine, dedicato al Vampiro e la melanconia, un saggio che può sorprendere chi non conosca l'attenzione dell'autore Vito Teti, antropologo illustre, per l'immaginario collettivo. Insomma, per i sogni e le paure che sono di tutti ma che la cultura "bassa" ha affrontato con le mediazioni più varie e più intime, al contrario della cultura più razionalistica e "borghese", nonostante certe formidabili eccezioni. Teti ci dice tutto quel che è possibile dire sulla figura del Vampiro (dimentica solo un episodio di un film di Bava, nei Tre volti della paura, sul vampiro bambino che attira i genitori nel suo mondo, da un racconto di Gogol di cui invece si parla) nel folklore e nelle arti, e affronta senza reticenze il tema che sta al fondo di questo mito: il nostro rapporto con la morte, anzi con i morti, e in particolare con i nostri morti, i morti che restano presenti negli affetti, i morti che non vogliono morire quantomeno nella nostra memoria. Capitini ha scritto un grande saggio sulla «compresenza dei morti e dei viventi», riedito da Il ponte. I morti non muoiono mai del tutto, se noi li ricordiamo, e mai del tutto riusciamo a dimenticarci di esser destinati a raggiungerli. I morti non muoiono mai davvero, ed è questa anche la base del mito del vampiro. Quando morì mia nonna, una contadina, sua figlia chiuse nella stalla tutti gli animali di casa e sbarrò le finestre della stanza che ne accoglieva ancora il corpo. Perché? Se un animale quale che sia, mi disse, passa sopra o a fianco del cadavere, l'anima del morto, che non vuole ancora staccarsi dalla vita e dai suoi cari, ne approfitta per penetrare nel suo corpo, ma così non avrà ancora riposo. Il vampiro di Teti ci parla del nostro rapporto con i morti, e con la nostra morte.
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