giovedì 22 settembre 2005
Sono candide le mie tempie, il capo è calvo. La dolce giovinezza ormai è svanita e devastati sono i denti. Della vita gioiosa ormai mi resta solo il ricordo del suo tempo breve. Spesso mi lamento per la paura degli inferi. Tremendo è l'abisso dell'Ade e inesorabile la sua discesa. Ognuno di noi ha una stagione che ama. Io prediligo l'autunno, coi suoi colori tenui e iridescenti, delicati e pacati come il clima che lo avvolge. Indimenticabili erano per me le ottobrate romane, quando da giovane studiavo teologia in quella città. Devo, però, riconoscere che spesso all'autunno è comparata una stagione della vita che ai nostri tempi è molto meno amata e rispettata che in passato, quella della vecchiaia. Ed è proprio un anziano a testimoniare con realismo che la terza età è un crepuscolo destinato a condurci all'inverno che è morte. Infatti, i versi che ho sopra citato appartengono alle Odi del poeta greco Anacreonte (VI-V sec. a.C.), ironico e determinato nel non nascondere l'aspetto fragile e misero della senilità. Anche nella Bibbia, un altro anziano, il Qohelet ci offre nel c. 12 del suo libro un ritratto icastico della persona vecchia, tratteggiandola sotto l'immagine di un castello fatiscente e desolato. Eppure, come per l'autunno, ci sono segni di fascino e di bellezza anche in questa fase dell'esistenza e soprattutto c'è una lezione di vita da offrire. È ridicolo tentare di vestirci come la primavera, ossia imitando i giovani, oppure ritenendo di essere in piena estate, come se si fosse gli adulti maturi ed efficienti di ieri. Bisogna, invece, essere se stessi, capaci di riflessione e di quiete, pronti ad accogliere e a vivere questa stagione tenue e delicata.
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