L'arte resta medium, non pura emozione
venerdì 6 novembre 2020
Ènoto che le arti, ognuna e nel loro insieme, possono essere interpretate come un sintomo o una serie di sintomi che rimandano alle condizioni di una società, a una situazione collettiva e alle caratteristiche di un’epoca. È la ragione per la quale la critica, sia letteraria che artistica, cinematografica o musicale è particolarmente interessante quando analizza forme e contenuti estetici in chiave non puramente tecnica ma anche sociologica, psicologica, morale e politica. Ne sono esempi famosi la Storia della letteratura italiana (1871) di Francesco De Sanctis, La disumanizzazione dell’arte (1925) di José Ortega y Gasset e Cinema tedesco. Dal dottor Caligari a Hitler (1946) di Siegfried Kracauer. A suggerire considerazioni che vanno anche al di là dell’estetica è ora il libro di Paolo D’Angelo La tirannia delle emozioni (Il Mulino) in cui viene spiegato come oggi si stia diffondendo una tendenza a non distinguere, a confondere le emozioni trasmesse dalle opere d’arte e quelle che si vivono nella realtà quotidiana. L’opera artistica è un medium e agisce come schermo, filtro, rispecchiamento selettivo e interpretativo fra l’immediatezza di ciò che viviamo e una sua possibile elaborazione formale. Il libro di D’Angelo si apre con l’analisi di un’installazione ospitata un paio d’anni fa alla Fondazione Prada di Milano, nella quale i visitatori venivano fatti entrare a piedi nudi in un ambiente buio muniti di una cuffia, di un visore e altri strumenti per far loro sperimentare le sensazioni fisiche e le emozioni dei migranti che a migliaia tentano ogni anno di attraversare illegalmente il confine fra Messico e Stati Uniti. Quella che si promette al visitatore è un’esperienza reale penosa, angosciosa, umiliante: non un’emozione estetica, ma reale. Si tratta evidentemente di un’ingegnosa truffa in cui un apparato tecnico–estetico, l’installazione, pretende di sostituirsi alla realtà per la durata di alcuni minuti. Quando in arte si parla di “fame di realtà” bisogna stare attenti a non cadere nell’equivoco di prendere alla lettera una metafora. Una cosa è leggere un libro, guardare un quadro, vedere un film, e una cosa è vivere di persona il loro contenuto. Le arti sono riflessioni sia nel senso che riflettono la realtà sia nel senso che permettono e favoriscono la riflessione. Ma accade oggi che si fugga dalla riflessione e si vogliano solo emozioni forti. Anche se sembra il contrario, questo è il segno di un declino e di un ottundimento della sensibilità. Si crede di essere più sensibili e soltanto sensibili, mentre in realtà lo si è meno. Si vuole un’arte che enfatizzi, acuizzi la finta esperienza fisica di ciò di cui non abbiamo esperienza. Ma questo, credo, è la morte sia dell’opera d’arte che dell’immaginazione del pubblico.
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