domenica 20 giugno 2004
Perfezione, puntualità, brama di riuscita e successo derubano gli uomini del loro inalienabile diritto a oziare" Oltre alla nobile arte di compiere le cose, esiste l'arte più nobile di lasciarle incompiute. Chi non rimane incantato davanti alla Pietà Rondanini, opera incompiuta di Michelangelo? Chi non considera un gioiello la stupenda sinfonia in Si minore detta L'incompiuta di Schubert? Chi non riesce a capire quanto sia stata inutile la fatica di Süssmayr per concludere il mirabile Requiem incompiuto di Mozart? Questi e altri interrogativi affiorano leggendo le parole citate, tratte dal volume Importanza di vivere (Longanesi 1986) del cinese Lin Yutang. Costui insegna a noi occidentali, così maniacali nella frenesia di fare, di avere successo, di concludere, non solo il «diritto a oziare» ma anche la nobile arte dell'incompiuto. Certo, l'ozio, se prevarica, crea indecisione, tedio, vuoto e inerzia. Ma la mitologia della velocità, del produrre, del realizzare ci ha fatto conoscere la diluizione dei rapporti, la superficialità, la frantumazione, ha creato vere e proprie sindromi come insonnia, emicrania, spossatezza, stress, dolori muscolari e articolari fino a spalancare il gorgo oscuro della depressione. Ecco perché è necessario ogni tanto fermarsi e lasciare qualcosa di incompiuto. Quiete, pacatezza, sosta, silenzio, dialogo sereno, contemplazione, lentezza sono antidoti necessari da praticare con cura e sobrietà. Il grande filosofo Pascal combatteva la tendenza "centrifuga" dell'uomo e invitava, come s. Agostino, a rientrare nell'anima e nell'interiorità. Anche Dio «nel settimo giorno cessò da ogni suo lavoro»!
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