venerdì 3 giugno 2005
O uomo, chiunque tu sia e da qualunque luogo tu venga: io sono Ciro, signore di molti re e di molti regni. Non invidiare il mio potere terreno poiché polvere ero e polvere sono tornato.
Il ricordo si è impallidito, eppure permane ancora intatta l'emozione quando, molti anni fa, sull'altipiano iranico mi si parò innanzi l'austero e imponente monumento funebre dell'imperatore persiano Ciro (VI sec. a.C.), il liberatore degli Ebrei dall'esilio di Babilonia. Di fronte agli alti gradoni che salivano fino alla monumentale camera sepolcrale a forma di sarcofago mi venivano in mente le parole del Secondo Isaia che scriveva: «Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: Io l'ho preso per la destra" Io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo sebbene tu non mi conosca"» (si legga Isaia 45, 1-8).Ora, all'interno di quella sala funeraria, ove giacciono le spoglie di Ciro, sono incise le parole che sopra abbiamo tradotto e che vorremmo fossero per qualche istante meditate. Potere, fama, gloria, successo sono sfioriti e divenuti cenere nel silenzio di quell'altopiano circondato da monti aspri e solitari. Fra un secolo che cosa sarà mai del ricordo di noi e di ciò che abbiamo fatto? Un pensiero severo e aspro ma vero, destinato a ciascuno di noi «chiunque sia e da qualunque luogo venga». Ma per il cristiano c'è anche uno spiraglio di luce che si apre oltre la morte e la cenere e che è affidato alla capacità della fede di scoprire una guida divina: essa conduce il giusto per mano sul «sentiero della vita», senza «abbandonarlo nel sepolcro e lasciarlo nella corruzione» (Salmo 16, 10-11).
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