In tempi di“letteratura diffusa” che ne è dei lettori (e dei critici)?
venerdì 30 novembre 2018
Il fenomeno letterario più rilevante, più caratteristico degli ultimi decenni del Novecento e dell'inizio del nuovo millennio, è stato un fenomeno quantitativo e di sociologia culturale. Mentre l'estremismo politico del Sessantotto era arrivato a ipotizzare una “morte dell'arte” e il silenzio o l'irrilevanza della letteratura (da sostituire con una imprecisata “immaginazione al potere”) il veloce declino dell'ipotesi rivoluzionaria aprì improvvisamente la strada a decine e poi centinaia di produttori letterari di nuovo tipo. Già a metà degli anni Settanta, essere, diventare, apparire scrittori cominciò a esercitare un'attrazione irresistibile. Ma lentamente si capì che il voler scrivere stava superando il voler leggere. Il mito della creatività umiliava la figura del lettore, individuo certamente virtuoso, ma ritenuto passivo e sterile. Poco dopo, la “rivoluzione informatica” accelerò i tempi della mutazione. L'uso del computer sembrò e venne pubblicizzato come non passivo ma “interattivo”. Il fatto stesso che in letteratura il testo scritto e stampato fosse stabile e definitivo e dovesse essere apprezzato proprio per questo, cominciò a sembrare perciò un fatto autoritario, costrittivo, “antidemocratico”. Si dimenticò una convinzione precedentemente implicita che in passato era stata costante come una fede: e cioè che esiste, che è necessaria una “creatività passiva” il cui valore e ruolo è la capacità di accogliere, capire, ascoltare, introiettare la qualità di opere compiute, classiche e contemporanee. Gli effetti di un tale mutamento di mentalità non potevano tardare. Oggi la letteratura non sopporta filtri critici. Ma una letteratura scritta da autori ignari della tradizione non produce opere degne di lettura attenta e di memoria. Produce una vasta, ubiqua materia stampata che documenta una creatività così generica, diffusa, tecnicamente povera ed effimera, da non poter essere più presa seriamente in considerazione come oggetto di valutazione critica. Oggi la letteratura o è il mito del bestseller o la deontologia dello studio accademico. Da un lato consumo veloce di lettori che leggono sì e no un libro l'anno, dall'altro analisi professionali di studiosi che non giudicano. Può accadere così che il solerte docente che vuole aggiornarsi, analizzi un ultimo e qualsiasi libro di versi o di narrativa usando gli stessi strumenti e lo stesso linguaggio con cui ha imparato a scrivere tesi e studi su Leopardi o Manzoni, Montale o Gadda.
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