martedì 23 novembre 2021
Ci sono titoli giornalistici che vanno interpretati. L'altro giorno ne ho letto uno curioso. Parlando di pubblica amministrazione chiedeva di «salire a bordo del futuro». Il problema è capire su quale mezzo viaggi. A giudicare dall'evoluzione delle biotecnologie opterei per le fibre ottiche, ma non escludo la neurodinamica che consentirebbe una partecipazione più personalizzata. Romanticamente però scelgo il treno, amato da tutti i bambini e che da saggezza popolare passa solo una volta. In realtà non è così, e chi ha la forza e il coraggio di guardarsi indietro sa in quante occasioni abbiamo aggiornato le possibili ripartenze. Al presente, dicono gli esperti, gli orizzonti da considerare sono almeno tre: la capacità di osare l'ottimismo malgrado le emergenze climatiche e sanitarie, il valore del Mezzogiorno, la sfida demografica in un Paese di culle vuote. Argomenti che si possono ottimamente affrontare anche seduti nel vagone di un treno. Di quelli veloci, in orario, con i vetri grandi da cui guardare fuori e poltrone snodabili per mettersi comodi se fa capolino la stanchezza. L'essenziale è che non salti le fermate previste e al limite ne aggiunga altre, perché nessuno resti indietro. Eventualmente nel vagone ci si stringe un po'. Perché se non è “insieme”, quel futuro nasce spento. E ci interessa poco.
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