Il tennis di Lartigue, la felicità in una volée
lunedì 17 maggio 2021

«Giocare a tennis nel sole». Ma anche fra le nuvole. Sull’erba o sulla terra rossa. Quella degli Internazionali di Roma, che si sono chiusi ieri, con la vittoria di Rafa Nadal in una finale, neanche a dirlo, con il numero uno del ranking Nolan Djokovic. Il decimo sigillo del Re della terra rossa (“The king of clay”) al Centrale del Foro Italico. Lì dove ha dato spettacolo, sabato, Lorenzo “Il Magnifico” Sonego, che in un'epica semifinale contro il serbo ha terminato la sua corsa magica, regalando a noi italiani le emozioni più belle di questo torneo. Sostanza e leggerezza. Piedi per terra, sogni volanti. Chissà che immagini avrebbe scattato loro il fotografo della vita felice, Jacques Henri Lartigue? L'artista francese (1894-1986) era anche un grandissimo tennista. Giocava in riviera, a Cap-d’Ail, e fotografava tutti i campioni che passavano da lì. Amava fotografare tutti gli sport, i giochi dei bambini, le situazioni di movimento. Lontano da terra. Volanti. Corpi trasportati dal vento. Ma il tennis era qualcosa di più. Certo, era un altro tennis, più leggero e aggraziato rispetto alla potenza e alla forza dominante di adesso. Ma avrebbe senz’altro fissato, a suo modo, lo stile dei nostri campioni. «Il tennis per Lartigue – scrive Matteo Codignola nel suo preziosissimo libro che ogni tennista (e non) dovrebbe leggere e tenere sul comodino, Vite brevi di tennisti eminenti (Adelphi) – non rientrava nella categoria sport, e neppure in quella loisirs: era un mondo a sé, cui appartenevano, nelle manifestazioni minori come in quelle maggiori, numerosi attributi di ciò che grossomodo intendiamo per bellezza: la leggerezza, la grazia, e una specie di felicità». Lo dimostrano le curiose e innumerevoli annotazioni nelle sue celebri agende, tra il meteo e la temperatura: «La palla arriva, la racchetta la aspetta con le corde tese. Il suono secco, elastico, cavo, trasmette al corpo una scossa di piacere quasi infinito. Giocare uno sport veloce è come vivere in un reame di fantasia, dove gli atomi si dividono in secondi».

Codignola – scrittore, traduttore e tennista pure lui – dedica alcune pagine all’«eminente» fotografo francese della Belle époque che interpreta il gioco come «il tentativo, grafico e selvaggio, di staccarsi da terra». Ecco, «il tennis, per lui, è una fantasticheria realizzata, la prosecuzione del volo con altri mezzi». Nelle sue foto i tennisti sembrano danzatori. «Non c’è un tennista fra quelli che ha fotografato – tutti quelli che passavano in Riviera, da Borotra a Wilding, da Didi Vlasto a Lenglen, e persino a se stesso, in un magnifico autoscatto durante uno smash - che non sia in aria, tutt’uno con un gesto immancabilmente – o forse, secondo Lartigue, inevitabilmente - euforico».

Conte Salm durante la finale dei Campionati del Mondo di tennis, a Parigi, 8 giugno 1914

Conte Salm durante la finale dei Campionati del Mondo di tennis, a Parigi, 8 giugno 1914 - Jacques Henri Lartigue © Ministère de la Culture (France), MAP-AAJHL

La foto del Conte Salm durante la finale dei Campionati del Mondo di tennis, a Parigi, 8 giugno 1914, è emblematica della visione di Lartigue che ai “voli con la racchetta” ha dedicato anche una pubblicazione ad hoc, Tennis (1910 – 1926), edizioni Carte Segrete (1984). Uno scatto che si può ammirare, insieme ad altre 119 immagini – non tennistiche – dal 21 maggio al 10 ottobre, al Museo Diocesano “Carlo Maria Martini” di Milano, che ospita, dopo il grande successo di Venezia, la mostra su Jacques Henri Lartigue dal titolo L’invenzione della felicità, curata da Denis Curti, da Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, rispettivamente direttrice e project manager della Donation Jacques Henri Lartigue, in collaborazione con Casa Tre Oci di Venezia e Donation Jacques Henri Lartigue di Parigi, con il patrocinio del Comune di Milano, del Consolato di Francia a Milano, dell’Institut Français di Milano.

Un viaggio nel mondo di Lartigue a cominciare da quando – è il 1963 – John Szarkowski, da poco nominato direttore del dipartimento di fotografia del MoMa – il Museum of Modern Art di New York, espone i suoi lavori, permettendogli di raggiungere il successo quando Lartigue è vicino ormai ai settant’anni. I suoi primi scatti precedenti la prima guerra mondiale fanno di lui l’enfant prodige della fotografia. Ispirato dai giornali e dalle riviste illustrate di quest’epoca, Lartigue s’interessa alla ricca borghesia parigina che si ritrovava oltre che sui campi da tennis, ai Gran premi automobilistici, alle corse ippiche di Auteuil, oltre che agli uomini e alle donne eleganti che le frequentavano. «La ‘parte di mondo’ di Lartigue – scrive Denis Curti nel catalogo (edito da Marsilio, con una testimonianza anche di Ferdinando Scianna) – è quella di una Parigi ricca e borghese del nouveau siècle, e anche quando l’Europa verrà attraversata dagli orrori delle due guerre mondiali, Lartigue continuerà a preservare la purezza del suo microcosmo fotografico, continuando a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare, conservare. Fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio. La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora».

Una mostra da vivere con leggerezza, dunque. Come se si giocasse una volée, uno smash, un servizio su un campo da tennis. In aria. Con il sole. Fra le nuvole. Come Sonego o Nadal. Felici, sulla terra rossa di Roma.

Una foto e 840 parole.

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