Il sistema esiste, ma non è tutto
venerdì 21 giugno 2019
Sull'idea di capitalismo come “sistema” si concentrò mezzo secolo fa, intorno al '68, tutta l'attenzione teorica dell'opposizione di sinistra: nelle rivolte degli studenti, nella classe operaia, nella sindacalizzazione politicizzata degli impiegati e dei tecnici e in un nuovo ceto intellettuale d'avanguardia. Sistema erano le singole società dei paesi più sviluppati e sistema era l'insieme dei rapporti economici e politici internazionali, a cominciare dallo sviluppo dell'Occidente ricco che produceva sottosviluppo ai danni dei paesi poveri in Africa, Asia, America latina. Si parlava di un unico sistema strettamente interconnesso, in cui sfruttamento capitalistico e dominio imperialistico, alienazione dei rapporti sociali e idolatria dei consumi, istituzioni culturali e politica, si integravano reciprocamente. Sembrava che a tutto questo ci fosse una sola alternativa: la riscoperta dell'utopia comunista e della prassi rivoluzionaria, ancora secondo modelli ereditati dalla prima metà del Novecento: leninismo, anarcosindacalismo, maoismo. Una volta sconfitta, quella sinistra rinunciò all'idea di sistema e di totalità sociale, come se si trattasse di mitologie. Capitalismo e consumi erano invece anche libertà e benessere, mentre i regimi comunisti erano tutti tragicamente sprofondati nell'orrore dittatoriale. Leggo in un intervento dello storico della cultura Donald Sassoon sul “Sole 24 Ore” di domenica scorsa le seguenti parole: «La maggior parte delle persone sembra accettare l'idea che l'attuale ordinamento economico della nostra società sia l'unico possibile (...) non essendo visibili alternative, il sistema appare eterno (...) Una volta si credeva che “i dannati della Terra” si sarebbero ribellati al sistema, ma adesso sappiamo che quando si ribellano è per la frustrazione di essere lasciati fuori e non perché desiderano sovvertirlo (...) Desiderano il capitalismo, o quanto meno i suoi frutti: i consumi». Questo quadro può sembrare pessimistico, ma non lo è. L'umanità è in effetti culturalmente, antropologicamente mutata soprattutto da quando al consumismo delle merci tradizionali si è aggiunto il consumismo informatico, le cui merci interattive penetrano molto più a fondo nella coscienza, nell'uso della mente, del tempo, della vita di relazione. Il sistema dunque non è un mito defunto, è una realtà oggi più viva e potente che mai. Ha però un difetto: è un sistema e quindi se non esce da sé rischia di autodistruggersi, distruggendo per esempio l'ambiente naturale. È un sistema e teme anche ogni rifiuto di obbedienza. Oggi chiunque si rifiuti di essere perpetuamente “connesso” può diventare solo per questo un esempio di libertà. Uscire per una settimana dalla Rete anche soltanto in cento o in mille potrebbe, chissà, spaventare molto i suoi padroni.
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