giovedì 13 dicembre 2018
I nostri figli si svegliavano all'alba, rigorosamente, anche di domenica, e mi tiravano con fermezza giù dal letto. Mio marito borbottava qualcosa e si riaddormentava. Alle sette, noi quattro eravamo già fuori. Li portavo ai giardini di via Palestro, alla grande fontana con il getto verticale dove giocavo io, da piccola.
A quell'ora non c'era nessuno. Ma una domenica di primavera alle sette e un quarto vedemmo arrivare un vecchio signore, distinto, con una lunga borsa rigida. Con calma l'uomo poggiò la borsa, la aprì e ne estrasse - sotto agli occhi curiosi dei figli - una lunga nave di legno, un perfetto modellino di Titanic telecomandato. Messa delicatamente nell'acqua, la nave cominciò a navigare, adagio. I bambini guardavano incantati - cos'avrebbero dato, per poterla toccare. Ma lo sconosciuto sembrava non vederci. Intento, il telecomando in mano, giocava. Dopo mezz'ora se ne andò, silenzioso com' era arrivato.
Diventò un'abitudine, la domenica alle sette, andare a vedere il signore del Titanic. Era sempre puntuale. Ma una mattina, il vecchio non venne. Non lo vedemmo mai più. Perché? Chiesero stupiti i bambini, come mancasse un compagno di giochi. Chissà, risposi, evasiva. Il vecchio e il suo Titanic, perduti, nella grande città che custodisce mille segrete solitudini.
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