venerdì 25 marzo 2022
Le prime colonne di profughi da Mariupol erano già partite. Poi nel quartiere erano arrivati i russi, costringendo a sfollare chi era rimasto: i malati, i vecchi. Non c'era bisogno di parole: bastava spingerli fuori dagli appartamenti, nello strepitare di cani, nell'eco di surreali giochi a premio da tv rimaste accese.
Non andavano a Ovest o in Polonia, ma in Russia. E in una palestra di Rostov, Russia, erano girate le scene dell'arrivo di questo manipolo di ultimi: i capelli candidi, e chi zoppo, e chi assente – una Crociata degli Innocenti ripresa, assurdo, nell'anno 2022.
Ma mi è indimenticabile una ucraina anziana, il fazzoletto sul capo e due grandi occhi che non so descrivere tanto erano trasparenti, del colore del più chiaro dei laghi nordici. La donna parlava piano, senza gridare, e in quei suoi occhi scorgevi le tracce di una vita intera. Sembrava, in quel cristallo, di vedere tutto, amore (quanto doveva essere stata bella), maternità, povertà, dolori. E l'oggi: spinti via con i fucili da casa, come banditi.
«Ci dicevano: "In fretta!" Ma io spingevo mio marito in carrozzella, e andavo adagio. Siamo stati gli ultimi a salire», raccontava. Poi via, il pullman dei profughi prigionieri, i loro occhi attoniti ai finestrini. Così smarriti, così imbelli. Tornati come bambini. Quelli cui è promesso il Regno di Dio. Si allontanava veloce il pullman, nella polvere.
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