sabato 7 dicembre 2019
Ci sono gesti, frasi, situazioni che, nella loro reiterazione nel tempo, perdono un po' – o tanto – del loro significato per entrare nella ritualità. In quella dimensione, cioè, in cui tutto appare già visto, già detto. "Vecchio", insomma. Càpita con tutte le ricorrenze, più o meno, al punto che a volte se ne perde perfino il significato e il valore. Neppure il Papa sfugge a questa ferrea legge della ripetitività, e così succede che il tradizionale messaggio che il 30 novembre di ogni anno, giorno della festa di sant'Andrea, fa recapitare al Patriarca di Costantinopoli finisca per passare sotto silenzio. O quasi. Del resto lo scambio delle delegazioni tra Chiesa cattolica e ortodossa che avviene tutti i 29 giugno e i 30 ottobre nelle feste dei rispettivi patroni, Pietro e Andrea (i santi apostoli fratelli, da cui la dizione di "Chiese sorelle" per definire la cattolica e l'ortodossa), inaugurato ai tempi di Paolo VI e Atenagora, è appunto entrato nel novero della normalità. E, certo, il ribadire di Francesco nel suo messaggio di quest'anno la ferma volontà di «proseguire nel nostro impegno a lavorare per il ristabilimento della piena comunione tra i cristiani d'Oriente e di Occidente» potrebbe suonare come una semplice formula, ma non lo è. Tutt'altro, anzi. Perché il cammino compiuto da quel lontano 5 gennaio del 1964, quando avvenne lo storico incontro a Gerusalemme tra Paolo VI e Atenagora, che nel dicembre dell'anno successivo avrebbe portato all'abrogazione delle reciproche scomuniche, è stato davvero enorme. No, non una corsa, perché una divisione che dura da mille anni non la si sana in un giorno. Ma, un passo per volta, alcune volte più lentamente, altre più speditamente, con tanta umiltà e la tenacia necessaria a lasciarsi alle spalle ruggini sedimentate da secoli e altre più recenti, ha compiuto progressi incredibili. Progressi, come ha scritto il Papa a Bartolomeo, che vanno oltre il «dialogo teologico» per realizzarsi anche attraverso «altri canali di vita ecclesiale», scanditi da tantissimi «gesti autentici di mutuo rispetto e stima» che costellano il percorso ecumenico compiuto. «La nostra vicinanza cresce – ha scritto Francesco – e si intensifica ogni volta che, memori dell'unico battesimo in cui siamo stati rigenerati, dell'unica fede che ci anima e dell'unico Spirito Santo che ci guida, preghiamo gli uni per gli altri e preghiamo insieme come fratelli». Ciò in quanto, insiste il Papa, «la nostra relazione è matura quando, obbedienti al mandato di Cristo Risorto di portare il Vangelo a tutte le creature e di guarire gli ammalati, cattolici e ortodossi lavorano insieme per annunciare la Buona Novella e servire i bisognosi». Un'unità nelle opere che, mano a mano che cresce, sia capace di superare diffidenze e pregiudizi, affinché la testimonianza del «promettente viaggio» intrapreso con tante iniziative dalle due Chiese, cattolica e ortodossa, prosegua con sempre maggiore forza anche «nei contesti locali». Perché l'unità dei cristiani si realizzerà nella dimensione del «piccolo», attraverso «il dialogo quotidiano di amore e di vita in progetti spirituali, pastorali, culturali e caritativi comuni». Non potrà mai essere, l'unità, calata dall'alto su fedeli svogliati e inconsapevoli, ma dovrà arrivare dal basso. Ancora e sempre, sono tutti i credenti a essere chiamati, in prima persona, a rimboccarsi le maniche.
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