venerdì 29 settembre 2006
Il Tentatore, quando induce qualcuno al peccato, s'allieta non tanto del peccato in sé quanto piuttosto della tristezza dell'anima che assale l'uomo dopo il peccato. A questo mira il Tentatore. Perché la tristezza è il peggior male del mondo. Uno che di male s'intendeva come il poeta francese Baudelaire non esitava a dire che «la più grande astuzia del diavolo è farci credere che non esiste», mentre il connazionale André Gide candidamente confessava: «Non credo nel diavolo; ma è proprio quello che il diavolo spera: che non si creda in lui». Nel giorno dedicato a s. Michele, l'arcangelo che combatte Satana sfidandolo a duello, ho voluto evocare un libro che lessi una quarantina d'anni fa, Le nove porte, raccolta di storie, leggende e ricordi dello scrittore ebreo praghese Jirí Langer (1894-1943). Tante sono le definizioni, i nomi, i vizi assegnati al diavolo (per altro bel termine, questo, per descriverne l'opera: in greco «colui che divide»). Mi pare, comunque, molto originale quella che Langer attribuisce a un santo rabbì di Lublino: Satana è colui che dà tristezza. La sua abilità non sta tanto nel farti peccare (a questo ci pensiamo spesso già noi con le nostre scelte libere). È, invece, quella di scoraggiarti, di abbatterti, di avvilirti. La persona abbattuta e sconfortata non spera più e quindi non fa che lasciarsi andare di balza in balza, di girone in girone, di male in male, disperando di potersi risollevare, di poter essere perdonata, di riuscire a risorgere o a rinascere. È questa la grande maledizione a cui Satana ci destina, è il rifiuto della grazia, è la morte della speranza e della fiducia.
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