venerdì 17 marzo 2017
Può apparire un enigma, a molti, il modo con cui Emily Dickinson costruì il suo itinerario poetico. Visse praticamente in una reclusione volontaria, sottratta a una prevedibile vita fatta di contatti e pubbliche relazioni. Trasformò la casa paterna del Massachusetts nella sua fortezza, in cui inventarsi e reinventarsi liberamente, secondo i suoi propri tempi e codici di linguaggio. Il suo piccolo mondo domestico divenne per lei un continente, un pianeta splendente, una galassia, se non un intero universo. Questo è tanto più curioso in quanto nella sua poesia traspare di frequente il desiderio del viaggio. E il grido che fece suo è il seguente: «La vastità non può essere perduta», riferendo, alla stregua di un pellegrino dell'inquietudine, una instancabile successione di luoghi: Parigi, Napoli, Venezia, la Svizzera, Francoforte e il Reno… Tuttavia, Emily Dickinson era soprattutto una viaggiatrice immobile riguardo a questo mondo esteriore. Si può dire che cercò incessantemente la porta della sua anima, come tutti coloro che fanno della vita interiore il centro della propria opera. Per questo i suoi versi continuano a rappresentare una sfida al ricentramento interno di noi stessi: «Esplora te stesso!/ Poiché dentro te troverai/ il continente ignoto».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI