Il cibo dell'uomo? In vitro non sarà né carne né pesce
domenica 4 giugno 2017

Il futuro è la bistecca stampata. Non parlo di immagini, ma proprio di bistecche commestibili che compaiono sul nostro piatto prima di scomparire nella nostra bocca. Grazie a questo procedimento, la carne diventerà cool e sarà accettabile perfino per gli adepti del Vegan. Potrà essere fatta a forma di cuore, di un fiore, di uno smartphone, per la gioia di grandi e piccini –
qualsiasi cosa che la collochi meglio tra gli oggetti di design e che faccia dimenticare la sua origine insanguinata. Del resto, non sarà più versato il sangue per ottenerla. Si aboliranno i macelli industriali, non per tornare al vecchio senso del sacrificio e alla necessità di un abbattimento raro, comunitario e rituale, ma perché l'ingegneria sarà riuscita a far crescere la carne come una qualsiasi verdura Toshiba. La Pentecoste avrà infine il suo sfogo sulla costata sintetica. La sociologa Jocelyne Porcher mette in evidenza un accordo di fondo tra i due grandi nemici: gli industriali della carne e i difensori dei diritti degli animali. I primi sono specialisti di “zootecnia”: vedono nell'animale una macchina per generare bistecche. I secondi sono paladini della “liberazione animale”: la bestia è per essi un individuo sensibile come noi, e perfino migliore di noi, perché non ha mai causato una Guerra Mondiale (e possiamo sperare che la tigre e lo squalo un giorno si arrenderanno agli argomenti dei vegetariani). Impossibile immaginare due campi più avversi. E tuttavia gli industriali della carne e i difensori degli animali partono da un punto comune: si oppongono all'allevatore tradizionale. Possono dunque trovare un accordo finale: la fabbricazione di carne in vitro. L'associazione americana Peta, People for the Ethical Treatment of Animals, si è così avvicinata all'In Vitro Meat Consortium. Ha promesso un milione di dollari all'équipe di ricercatori che riuscirà a produrre, senza allevare neanche un galletto, carne di pollo «il cui gusto e la cui struttura non siano distinguibili da quelli di un vero pollo sia per i vegetariani che per i consumatori di carne». Basta con le carneficine! Basta con le fattorie industriali! Basta pure con le stalle! La Sacra Famiglia potrà deporre il bambinello in un cassetto sterile. New Harvest, che vuol dire “Nuovo Raccolto” è un'associazione senza scopo di lucro che si è data il compito di promuovere “tecnologie innovative” che garantiscano la “sicurezza alimentare” in una cornice attenta “all'etica e all'ambiente naturale”. La sua homepage si adorna di tre fotografie in cui alcuni scienziati presentano con mani inguantate di plastica il “latte senza mucca” fabbricato dalla ditta Perfect Day, l'“albume senza uovo” fabbricato dalla ditta Clara Foods e il “manzo senza manzo” brevettato da Mark Post dell'università di Maastricht. Il tutto consiste nel prelevare alcune cellule da un animale, e pronti, via! le si mette in un'incubatrice riempita di un siero ricco di sostrati energetici, amminoacidi e sali minerali, e dopo qualche giorno si forma un sottile strato di tessuto muscolare che non è meno saporito della carnazza già insipida e contraffatta dell'agrobusiness. Il dottor Amit Gefen, del dipartimento di ingegneria biomedica dell'università di Tel-Aviv, si è specializzato nel petto di pollo artificiale. Quasi, crede di aver trovato qualcosa capace di far impallidire il miracolo della manna e delle quaglie nel deserto: «Nell'ipotesi che si riesca un giorno a creare grandi linee di produzione di carne di pollo per mezzo del tissue engineering, semplicemente coltivando cellule in vitro e lasciandole dividersi e moltiplicarsi, questo equivarrà a produrre un alimento a partire dal nulla. La biologia ci fornirà allora una sorgente alimentare quasi inesauribile». Produrre a partire dal nulla, non è forse diventare simili a Dio creatore? Ma un creatore, ammettiamolo che ha un grande bisogno di nuggets. Al momento però occorre ancora ben più di un po' di tessuto animale. Le installazioni biotecnologiche inghiottono molto denaro. Il 5 agosto 2013 Mark Post ha presentato alla stampa il suo primo hamburger prodotto interamente in provetta: è costato in tutto circa 290.000 euro. La degustazione è stata trasmessa in diretta dalla televisione inglese, e i tre critici e-gastronomici sono stati abbastanza lenti nel masticare, ogni boccone equivaleva a 30 anni dello stipendio medio di un lavoratore del Panama. Tuttavia, se questa industria si sviluppa rapidamente quanto l'informatica, niente impedisce di immaginare che il prezzo potrebbe raggiungere presto quello del McDonald's. Soluzione d'avvenire, affermano alcuni che vedono nella carne in vitro un mezzo per rispondere alla crescita demografica, diminuire la consumazione di energia legata agli allevamenti, lottare contro la deforestazione e aumentare la superficie delle colture alimentari per l'uomo, poiché il 70% di questa è al momento accaparrata dall'alimentazione del bestiame. Già negli anni Cinquanta, Georges Bataille notava ne L'erotismo: «Noi mangiamo ormai soltanto carni preparate, inanimate, astratte dal brulichio organico col quale sono apparse dapprincipio. Il sacrificio legava il fatto di mangiare alla verità della vita rivelata nella morte». La tecnologia ci promette di superare la morte e, di fatto, sta già trionfando sulla vita. Pretendendo di portarci al di là della carne e del sangue, ci trascina invece molto al di qua, verso la provetta di vetro e i circuiti integrati. Perciò l'uomo che mangerà carne artificiale dovrà essere abbastanza artefatto lui stesso. Ed è questo che ci permette di credere che non succederà mai. Un tale uomo non avrà già più bisogno di carne: gli basterà attaccare la spina.

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