venerdì 19 novembre 2021
Abbiamo sempre bisogno di energia, di restare connessi, di sentirci almeno per un attimo nella vetrina della storia. Così ci affanniamo, vestiamo giacche alla moda, compulsiamo di messaggi i social, tanto che se si spengono per un'ora sembra la fine. Non è un fatto di età, ma di coscienza del proprio stare al mondo e l'adulto scollegato spesso va in crisi più del ragazzino. Il simbolo dell'isolamento, del nostro perdersi in comunità di plastica, è il caricatore. Con poca batteria e lo smartphone in riserva, sembrano rallentare anche i battiti del cuore, e le parole galleggiano nel vuoto, aggrappate alla rotellina che gira sullo schermo. Non è tanto un problema di mezzi tecnici quanto di sintonia tra mente e mani. Prima c'erano il telecomando e la tv a insinuarsi nella quotidianità familiare, più indietro ancora il dominio della radio. È come se l'essere umano cercasse sempre mondi paralleli dove essere protagonista o almeno sentirsi tale. Il problema cresce quando nel rispetto della geometria queste realtà non si incontrano con la vita, e il virtuale, per ingenuità o paura, sbarra le porte agli incontri veri. Si, abbiamo bisogno di un caricatore, ma solo per rinforzare il coraggio di accorciare le distanze, di non perdersi di vista, di dimostrare a chi sta male che ci siamo.
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