giovedì 13 dicembre 2018

Sono in treno, rientro da Roma e non sono al mio posto. Come non di rado, l'ho trovato occupato: una ragazzina, che digitava sul cellulare parlando con l'amica accanto, mi ha implorato con gli occhi di lasciarla lì. Mi faccio dare il suo posto e vado nella carrozza accanto.
Arriva il capotreno per controllare i biglietti e arriccia il naso, mi guarda, sospettoso e divertito e dice: «Sorella lei non è al suo posto!» Spiego la faccenda e lui, annuendo con approvazione, dice: «Anche oggi ha fatto la sua opera buona!» E aggiunge: «Ma il presepe; il presepe l'ha fatto?». Quando gli racconto il nostro presepe resta meravigliato e comincia a parlare.
Mi scandisce il suo cognome così gravido di storia e d'importanza: è napoletano, discendente dei Borboni e per lui il presepe è un rito. Guai a chi non lo fa! Perde la sapienza antica che in meridione, e specialmente a Napoli, si è arricchita di storie e di significati.
«Ma lo sa lei che nel presepe napoletano c'è sempre il mendicante? A volte è una zingara ma alle volte è proprio l'accattone che allunga la mano e cerca. Nessun problema immigratorio però. Quel personaggio ha molto altro da raccontare. Il mendicante è spesso zoppo, o gobbo, o cieco e talora è accompagnato da un bambino altrettanto malmesso. Non si tratta solo di un riferimento ai vangeli (andate ai crocicchi delle strade e chiamate storpi e zoppi, lasciate che i bambini vengano a me, tutti si accostino alla mia mensa!) si tratta di anime “pezzentelle”, ossia delle anime del purgatorio che vagano cercando suffragi. Le Pezzentelle, dal latino petere ossia chiedere per ottenere, vagano per il presepe ripetendo instancabilmente: fate del bene alle anime dei defunti!».
Dice così ed estrae il cellulare mostrandoci alcune foto del suo presepe. Improvvisamente tutto lo scomparto del treno, prima assorto nei suoi pensieri, si anima, impossibile non partecipare a una tale conversazione. Persino quattro studentesse nello scomparto accanto al nostro, del tutto intente in discorsi un poco ridanciani, si fanno silenziose e attente. Leggo sui volti la sorpresa: per una volta, Gesù e la sua eternità fanno notizia. Per una volta si vede in atto dalle immagini di un cellulare e dalle parole di un capotreno la sapienza d'Israele fatta carne in Cristo. Sono tre le cose che salvano: la torah, la preghiera e gli atti di misericordia, ovvero l'elemosina. Un'elemosina che mira ad assicurare all'uomo la vera vita, quella che non finirà e che solo Cristo, scopo e senso del Natale, può offrire.


Il dovere chiama, non meno di Cristo nel Presepe. Il nostro buon controllore intasca il cellulare e se ne va. Quasi mi dispiace scendere dal treno, avrei desiderato saperne di più dei personaggi simbolici del presepe napoletano. La stazione di Rimini mi accoglie. Ci sono luminarie dappertutto ma pochissimi simboli religiosi, sembra quasi la Winterfest del nord Europa, un'anonima celebrazione legata alla stagione buia, tutta da illuminare. Un quotidiano buttato a terra mi colpisce. C'è la notizia dei ragazzi anconetani morti in discoteca e della giovane madre che ha perso la vita nello stesso tragico modo. Ripenso alla faccia gioviale del capotreno e alla sua sapienza: come la si potrà trasmettere alle nuove generazioni, affinché le tragedie senza senso di Corinaldo non accadano più, ma si possa spendere la vita per qualcosa di più grande? Un ragazzo di colore mi tende la mano. Gli allungo qualcosa e dico: «Ricordati dei tuoi defunti». La Chiesa prega sempre per loro e ciò serve a noi per ricordarci dell'eternità. Buon Natale.

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