venerdì 4 febbraio 2011
In ciascuno di noi ci sono tre persone: quella che vedono gli altri; quella che vediamo noi; quella che vede Dio.

Quella che oggi propongo è solo una scheggia di pensiero, offerta da uno straordinario personaggio spagnolo, il filosofo e scrittore Miguel de Unamuno (1864-1936). A Salamanca, qualche tempo fa, visitai la sua residenza ove ancora respirava la sua presenza, il suo sapere e la testimonianza della sua ricerca interiore. Questa sua riflessione era già stata anticipata in un certo senso da Alessandro Manzoni quando definiva il cuore umano «un guazzabuglio». In noi si muovono figure persino antitetiche tra loro, come già confessava san Paolo, sentendosi dilaniato: «Nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato» (Romani 7, 22-23).
C'è un volto che indossiamo il mattino quando usciamo nella vita quotidiana; è il più possibile agghindato e presentabile, consapevoli come siamo che nell'odierna società l'apparire è tutto. Un altro grande spagnolo, il poeta cinquecentesco Góngora, gridava: «Ahi, ambizione umana, cauto pavone dai cento occhi!». A sera, però, nella solitudine ritrovata, se fissiamo lo sguardo in quel «guazzabuglio» che è la nostra coscienza, vediamo impietosamente la verità di un altro volto, segnato da vergogna, miserie e inganni. Proprio per questo sono pochi quelli che osano affacciarsi sul loro io, guardandosi nello specchio dell'anima. Ecco, allora, il giudizio divino, il cui occhio " come dice la Bibbia " penetra fin nell'oscurità dei reni e delle viscere. Questo sguardo ci segue, anche se ignorato, ed è là che è riflesso il nostro vero volto.
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