venerdì 24 giugno 2016
Il tempo in cui viviamo è sempre più continuativo, ininterrotto, senza cesure né uscite dal tran tran. Il sistema di un mondo come il nostro, che mira all'efficienza, ha bisogno di una dedizione assoluta e non si può permettere interstizi di vuoto. Peccato! Persino la monastica consacrazione all'estasi divina, dove vivere era — ed è! — perenne liturgia di un già e non ancora, contempla momenti di discontinuità, quarti d'ora in cui si debba: “rompere il silenzio”. È il Priore stesso a deciderlo e, quando lo fa, si scatenano l'allegria, le grida, le risate, perfino qualche devoto lazzo verso i confratelli. L'interruzione di qualsiasi prassi ordinaria è catartica e rigenerante, allo stesso tempo. Necessaria e vitale in stili di vita liberi, consapevoli e umani. Si tratta della festa. Un giorno che porta a compimento la lunga attesa dei giorni. Una specie di sfacelo del tempo, indispensabile per rigenerarne le membra. Per la salute della mente e dell'anima. Quella di San Giovanni è una festa che segna l'ingresso dell'estate, stagione di pienezza e di frutti. Per chi, come me, è nato in campagna, essa è puro profumo. Ieri sera si son raccolti fiori petalosi e poi messi a bagnare in una vasca d'acqua. Stamattina non solo il viso, ma tutta la casa sa di rose.
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