giovedì 24 gennaio 2019
«Non poter lavorare, questo è il suo vero tormento. Le varie capacità che ha coltivato per impiegarle, ogni giorno, ogni ora, a vantaggio degli altri, solo esse sono la sua gioia, la sua passione. E adesso, starsene con le mani in mano o continuare a studiare per imparare ancora, mentre non può utilizzare ciò che possiede in abbondanza… be', cara, è una situazione dolorosa».
Sta parlando alla moglie, e descrivendole la condizione di un amico ridotto all'impossibilità di proseguire la sua professione. Non è importante per noi, ora, sapere quale sia la professione dell'uomo di cui l'amico sta parlando nel romanzo Le affinità elettive di Goethe. Ciò che conta è che un uomo che ha svolto studi per operare nella vita, fare, anche per gli altri, soffre una pena tremenda nel non poter proseguire il suo lavoro. È inutile continuare a studiare sapendo che ciò non porterà alcun frutto. Non si sta parlando di un problema materiale: il personaggio di Goethe non è un disoccupato con problemi di sussistenza. Ma un essere umano che non può "fare", non può mettere a frutto i suoi studi, non può realizzarsi. L'uomo non lavora soltanto per guadagnarsi il pane. Diritto che peraltro la storia da sempre nega a troppi. Ma nasce Homo Faber, un essere che, come vuole conoscere, guardare la luna, amare, vuole "fare".
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