giovedì 29 settembre 2005
I benefici sono graditi finché possono essere ricambiati. Quando sono troppo grandi, invece di gratitudine, generano odio. «Tacitiana» è l'aggettivo che si usa di fronte a una prosa scarna, essenziale ma incisiva. È ciò che possiamo dire anche di questa considerazione scoperta sfogliando un'antica edizione degli Annuali, opera grandiosa ma giunta a noi lacunosa, del famoso storico latino vissuto nel I sec. d.C. La sua è una lezione di amaro realismo: i piccoli atti di generosità sono graditi anche perché non impegnano più di tanto e permettono, prima o poi, una sorta di saldo col contraccambio. Diverso è il caso di un favore importante, anzi decisivo per il successo di una persona: è, infatti, facile che lentamente lo si senta come un peso e una specie di monito costante. La gratitudine si trasforma, così, insensibilmente in odio, in recriminazioni, in negazione. Andando al di là di questa triste verità, legata all'orgoglio e all'egoismo delle persone, vorremmo comunque ritornare sul tema generale della riconoscenza, fiore raro ad attecchire (e si capisce il perché). Tante volte è quasi un peso riconoscere di essere debitori di qualcosa a un altro perché la nostra superbia non ammette una sia pur blanda dipendenza. Altre volte è la superficialità che non esita a chiedere ma ignora il ringraziare. È curioso che nello stesso Salterio, di fronte a una cinquantina di suppliche di favori a Dio, ci sia solo una decina di Salmi di ringraziamento. Ricordiamo, allora, il monito di Paolo ai Colossesi: «E siate riconoscenti!» (3, 15).
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